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Pubblicato aprile 2008
 
*spaziosonoro*

>WARHOL
IN VELLUTO

di Giovanni Ciucci

Non stupisce che Warhol possa subire il fascino della musica e arrivi quasi a diventare il cantante di un’improbabile band, quanto unica nel suo genere ...




Definire i precisi confini d’interesse di Andy Warhol; assai complesso, come complessa e controversa; la sua presenza nel panorama artistico e culturale del XX secolo.

Si susseguono le occasioni per rivalutare le molteplici componenti del suo lavoro, attraverso nuove letture ed inedite prospettive critiche, al punto di consegnarci il corpo della sua opera in una veste mutevole, eppure sempre contemporanea.

Non stupisce che Warhol possa subire il fascino della musica e arrivi quasi a diventare il cantante di un’improbabile band, quanto unica nel suo genere, composta da Claes Oldenburg, Patti Oldenburg, Jasper Johns, LaMonte Young, Walter De Maria e Lucas Samaras.

Come ben sappiamo questo incontro artistico-musicale non si; purtroppo realizzato, ma a partire dal 1965 emerge una band praticamente sconosciuta, se non nei circuiti cinematografici underground di New York, dal nome Velvet Underground destinata a lasciare il segno.
   
Durante una notte gelida sul finire del 1965 i V. U. suonano in un locale del Greenwich Village, il Cafe Bizzare, davanti a un pugno di turisti intimoriti dalle sonorità aspre e graffianti che invadono il corridoio di tavolini, quando entra un gruppo bizzarro che si chiude a cerchio attorno alla figura esile ed emaciata di Warhol.

E’ un vero e proprio colpo di fulmine, Andy vede che un gruppo di musicisti dall’aria tra il teppista e il boheme, stanno suonando qualcosa di stordente, con testi estremi, ossia stanno trattando gli stessi temi che ricorrono nei progetti della Factory, suo luogo di produzione culturale d'avanguardia.
 

   
Inoltre il gruppo possiede il termine ‘underground’ nel proprio nome, come il tipo di cinema che in quei giorni interessa il celebre pittore.
Inizia così una storia durata fino al 1968, tanto emozionante e mozzafiato quanto breve, che vede collaborare l’artista più chiacchierato del momento con un gruppo di giovani musicisti, troppo in anticipo rispetto al loro tempo.

Per chi conosce la storia della musica rock e segue anche solo sommariamente il mondo dell’arte, quasi stenta a credere che un tale connubio si sia potuto realizzare e portare a risultati tali, da cambiare il corso della musica popolare negli anni a venire, oltre che mettere in atto uno spettacolo multimediale, ancora ai giorni nostri ritenuto come una sorta di nuovo corso, nonché punto di riferimento per le odierne esibizioni dal vivo.

Stiamo parlando dello spettacolo che debutta nella primavera del 1966 al Dom Theatre di St. Mark’s Place, sull’Ottava Strada, col nome Exploding Plastic Inevitable.
Sotto questa sigla vengono combinati linguaggi e percezioni diverse, attraverso la performance del gruppo rock and roll di avanguardia, proiezioni di film, giochi di luce e danze con frusta. Viene anche permesso ai frequentatori, inizialmente intimoriti da un simile assalto sonoro e visivo, di interagire con lo show, manovrando liberamente i proiettori e realizzare così anomali pattern luminosi, completamente al di fuori da ogni controllo da parte degli organizzatori.
 
   

Esistono precedenti tentativi di spettacoli multimediali nel circuito di NYC, come l’happening dal titolo ‘Launch Of The Dream Weapon’, dove si mescolano film, musica, diapositive, poesia e danza. Anche in questo caso la musica viene eseguita dall’embrione dei futuri Velvet Underground.

Ma nel caso dell’E.P.I. avviene propriamente la celebrazione della vita di una metropoli, con i suoi segnali contrastanti e contraddittori, dove si alternano arroganza e raffinatezza, freddezza e passione, calcolo e perdita di controllo, primitivismo e poesia, grandi aspirazioni e brusca caduta …

Il successo è immediato, il pubblico rimane affascinato dalla novità della proposta musicale dei V.U., un’irruenza sonica a livelli altissimi, mai raggiunti prima da un locale, mentre le proiezioni di diapositive le une sulle altre, o di due film in contemporanea, sembrano far scomparire la band dal palco, per poi farla riaffiorare improvvisamente. Questa tipologia di live viene poi ampiamente sfruttata nella prossima stagione psichedelica londinese, dove si apriranno nuove sale da ballo e da concerto incentrate su questo modello di esibizione.

Gli elementi che compongono l’E.P.I. sono nondimeno molteplici, come la danza che vede Gerard Malanga, Ronnie Cutrone e Mary Woronov muoversi in scenari sado-maso al ritmo ossessivo della band, in preda ad una pulsione irrefrenabile, tale da portarli sulla soglia del fuori controllo.
Questo show multiforme sembra voler materializzare in un unico esperimento artistico ‘il deragliamento di tutti i sensi’ cantato da Rimbaud, in un contesto di intrattenimento del XX secolo.

Warhol in questo scenario si staglia come l’elemento di coesione,
lo stratega che capta anche le intuizioni altrui, le esigenze giovanili del momento e coagula una situazione in grado di sovrapporre, paradossalmente, il caos e l’irruenza col suo riconosciuto rigore formale, la sperimentazione e il business.
Più si scava in questa stagione creativa e più si scoprono vicende importanti, come, ad esempio, lo stesso E.P.I. sia stato, al pari della Factory, un laboratorio dove far confluire artisti di estrazione diversa. Si pensi che lo stesso Allen Ginsberg canterà nei V.U. il pezzo ‘Hare Krishna’, Henry Flynt (Fluxus) suona temporaneamente nella band, Walter De Maria rientrerà nell’orbita dell’Exploding.


Il regista Antonioni rimane colpito favorevolmente dalla band e desidera farli suonare sul set del celeberrimo ‘Blow Up’, ma purtroppo i costi da sostenere, per la trasferta in Europa, sono troppo alti per la produzione, che opta per il gruppo londinese degli Yardbirds.
Warhol porta lo spettacolo e il suo entourage anche sulla costa occidentale degli USA, spostandosi con grandi autobus; ed è facile immaginare quale carica destabilizzante trasmetta tale compagnia sia alle nuove platee, che alla gente comune. I tempi non sembrano ancora maturi per una tale proposta, soprattutto al di fuori della metropoli di NYC, tendenzialmente propensa ad assimilare le più disparate proposte culturali.

Preso atto che la concezione di spettacolo ideata da Warhol, anche oggi, nella sua interezza, sarebbe forse troppo estrema per il grande pubblico, va detto che comunque smembrata in diverse parti viene tuttora utilizzata per la realizzazione di eventi dall’industria dell’intrattenimento. Gli stessi V.U. così scontrosi per la stampa degli anni Sessanta, dall’aspetto pallido e malato, vestiti di nero, voltati di spalle durante le esibizioni, amanti del volume altissimo, del feedback degli amplificatori, del linguaggio di strada, del realismo crudo sono in seguito diventati gli anticipatori della stagione punk e new wave. Tuttora citati, se non imitati, sono addirittura assorbiti dagli spot delle campagne pubblicitarie e, magari, proprio questo epilogo farebbe sorridere Warhol, dato che nella giusta prospettiva il cerchio tracciato infine si chiude.


Immagini: immaginarie - archivio Photo Suada


 

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