BIOGRAFIA
Quella che Francesco Mestria mette in scena all’AmnesiacArts
è una moderna tragedia in tre atti imperniata sulla
dolorosa coscienza che l’uomo prende del suo posto
nel mondo.
L’artista lucano dalle profonde radici magno-greche
trasforma la cartapesta, umile materia della tradizione
artigianale locale, in carne dolorante e ci invita a riflettere
sulla crisi dei rapporti umani e sociali nella società
contemporanea.
“Suvvia, dormi, / dormi, bimbo: / dorma il mare; /
l’immensa // sventura dorma.” Simonide/ La prima
volta che ho visto delle sculture in cartapesta è
stato a Matera, durante la festa della Madonna della Bruna:
un bizzarro carro colorato affollato di angeli, madonne
e cristi dalle espressioni stupefatte, i gesti enfatici,
una favolosa macchina scenica nel teatro tragico dei Sassi.
Ritrovo l’umile e antichissima lavorazione di cenci
macerati nelle sculture di Francesco Mestria, artista della
provincia materana che eredita dalla tradizione artigianale
la capacità di sfruttare a pieno le risorse della
materia mettendola istintivamente a contatto con la luce
e lo spazio. Ma nelle tre sculture di Mestria, che sono
il nucleo centrale della mostra, della spettacolare messinscena
barocca è rimasto ben poco, spogliate del colore,
delle vesti e dei simboli cristiani sembrano uscite dalla
bottega ancora sbozzate.
Resta la loro attitudine teatrale ma così ridotte
all’essenziale ricordano piuttosto le figure arcaiche
e archetipiche delle misteriose civiltà proto-elleniche
che hanno abitato queste terre, antichi eroi ancora senza
nome e senza volto, kouroi contemporanei che incarnano l’idea
stessa d’umanità più che rappresentarla.
Nella prima statua, Life, una madre amorevolmente piegata
sul figlio, le forme indistinte, le linee curve e armoniose
che raccordano le due figure, come nelle creature organiche
di Henry Moore rimandano al passato favoloso del mito, prima
della colpa, del formarsi della coscienza, quando la vita
era ancora un fluire continuo e naturale ma ricordano anche
la ‘purezza’ contadina dell’era pre-industriale
rimpianta da Pasolini. All’improvviso le creature
innocenti si trasformano in muse inquietanti, terribili
manichini di morte, il canto esiodeo vira verso la tragedia
disperata di Euripide.
La brusca accelerazione dell’azione ‘srotola’
e spinge in avanti l’evento drammatico, l’omicidio
del bambino (Murder), ma questa moderna Medea dai tratti
appena accennati, i gesti sintetici, più che una
risoluta e feroce assassina sembra un fantoccio che compie
un gesto automatico, vittima anch’essa di un destino
imperscrutabile, agìta da forze superiori, eroina
abbandonata dagli dei, sola di fronte all’assurdo
dell’esistenza. Il crescendo drammatico raggiunge
il suo climax nell’ultimo atto, Suicide, in cui l’anti-eroina
precipita nel vuoto, sopraffatta dal dolore della vita e
incapace di dare una risposta alla crisi dei rapporti umani
e sociali e al totale sovvertimento delle leggi naturali
del mondo post-industriale. Inconsistente anti-scultura
dal leggerissimo materiale, sagoma ormai esangue dalla bocca
nera, spalancata in un grido d’angoscia, ‘relitto’
della scultura classica, è l’immagine della
condizione dell’uomo moderno, l’Essere in corsa
verso il Nulla.
Muto spettatore della tragedia uno strano totem:assemblando
oggetti d’uso comune alla maniera dei dadaisti, l’artista
crea un oggetto nuovo svincolato da qualsiasi funzione,
un emblema. Il bambolotto ‘coperto’ da una busta
di plastica trasparente (I bambini nascono con gli occhi
aperti?) incarna la vita come ‘soffocata’ da
un involucro, un carico di sofferenza e di colpa ancestrale,
un opprimente condizionamento che crea una distanza invisibile
quanto reale tra noi e il mondo. Questo suggestivo ready-made
ha la stessa funzione del coro nella tragedia, amplia la
prospettiva, dà al dramma visto sulla scena la sua
dimensione metafisica, associa all’azione la sua sostanza
morale. Lo spirito mitico della Magna Grecia, col suo carico
di alti ideali e antichissimi traumi, aleggia in tutta la
mostra.
Le lamiere-corazze trafitte e martoriate (Warrior, Warrior
I) sono, come gli elmi scuri di Paladino, i segni di un
passato di sangue e violenza più che le vestigia
di un’antica gloria mentre i volti arcaici, dai segni
eleganti e semplificati imprigionati nella pietra, di Aspasia,
femminista ante-litteram nella sessista Grecia classica,
e di Danae, dolce figura di mater dolorosa, indicano alla
sensibilità moderna in queste belle figure di donne
piuttosto che nei principi guerrieri l’eredità
migliore di un luminoso passato. Barbara Improta
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