Paesaggio,
inno di colori, ricetto
di memorie, matrioska di segni,
di altri paesaggi altrove lontani
o solo pensati, componendo brandelli
di scorci colti dagli occhi
chissà quando e in chissà
quali contrade, anfratti di
bosco, pendici di monti, nere
rive di fiumi bianchi di neve.
Dove volete andare? Quale scenario
desiderate vivere?
A chi non piacerebbe saltare
dentro una foto o un quadro,
come in una nota scena del film
“Mary Poppins”,
in cui i protagonisti, con un
salto, da una grigia via londinese
si ritrovano tra verdi colline
a esplorare la campagna che
poco prima non era altro che
un dipinto a gessetti sul selciato?
Si potrebbe vagare allora lungo
una spiaggia selvaggia battuta
dalle onde o salire l’olivastro
cammino verso il mistero intravisto
tra ruderi di antiche dimore,
per perdersi nel sacro silenzio
campestre, trovare riposo.
E’ questa “l’innocente
evasione” offerta
dalla mostra Paesaggio: bene
e rifugio, allestita
nella medievale Torre del Castello
di Carbonara Scrivia e promossa
dal Comune in collaborazione
con la 11DREAMS
Art Gallery di Tortona.
Come l’artista giramondo
ricco di saggezza del film,
i quindici autori riuniti nella
presente collettiva invitano
a un viaggio attraverso il paesaggio,
luogo in cui natura e cultura
si incontrano, spazio reale
e dimensione dell’immaginario.
Simili a frame di passaggio
dal finestrino di un treno in
lento transito, le opere esposte,
quadri e foto espressione di
stili e tecniche diversi, dal
figurativo al confine con l’informale,
inducono inoltre a riflettere
attorno all’identificazione
tra uomo e paesaggio, quando
questo diviene sede della memoria
e perciò luogo in cui
l’individuo si riconosce,
afferma la sua identità
di singolo, popolo e specie,
in armonia con l’ambiente
circostante. E’ lo spazio
trasformato dalla Storia, dai
bisogni primari di riparo contro
insidie e intemperie e di nutrimento,
ma anche dall’esigenza
di imprimere una traccia estetica,
la ricerca della bellezza. Accanto
a questo aspetto, nei lavori
in mostra è posta in
rilievo la dimensione selvaggia
della natura non addomesticata,
quella in cui il pittore romantico
rifletteva il suo stato d’animo
e la coscienza di un universo
sconfinato dove l’uomo
era assimilato nel dramma dell’esistenza.
Una natura che qui è
interlocutrice esterna all’umano,
che sancisce il suo potere creativo
e in cui l’artista, stracciando
in una sfumatura la linea dell’orizzonte,
spezza il confine alla vista
e si porta di là dal
reale, al cospetto con l’immaginato.
E’ il paesaggio
naturale e il suo rapporto con
l’uomo a costituire,
dunque, il cuore della rassegna,
benché l’uomo sia
assente dalle rappresentazioni,
al più individuabile
in una traccia sul terreno,
in un’immateriale presenza.
Bene imprescindibile, casa dell’umanità
nel suo divenire storico, il
paesaggio appare pertanto rifugio
concreto dei corpi, non meno
che degli animi. Quando si identifica
con la natura, offre ricovero
da quelle dimensioni avvelenate
da valori antitetici rispetto
a quell’armonia dell’esistere,
estetica ed etica, che viene
in essa individuata e che le
opere in mostra propongono declinandone
le manifestazioni tra reale
e ideale.
Con
un balzo, possiamo volare nel
vento, insieme alle
candide, morbide figure del
dipinto “Come Nuvole”
di Alessandra Guenna, scivolare
su un paesaggio fiabesco, tradotto
in un linguaggio teso alla rassicurante
purezza espressiva dei disegni
d’infanzia, nel contrasto
netto tra il verde del prato
e l’azzurro del cielo,
nell’alfabeto di linee
minime per icone di alberi spogli
e la candida coppia in volo.
Possiamo perderci nella contemplazione
della natura percorrendo la
campagna toscana nei dipinti
“Campi rossi in Val d’Orcia”
e “Verso la Croce Arcana”
di Mario Castrucci che con la
morbidezza malleabile dell’olio,
luminoso e indulgente al lavorio
dettagliato di minuscoli pennelli
su particolari minuti, ne traduce
la misteriosa bellezza. Svoltiamo
adesso, ed ecco all’orizzonte
venire a galla dallo sfondo
il miraggio di una città,
uno skyliner fluttuante nella
campitura sfumata di tenue azzurro
che pervade lo spazio pittorico:
siamo con Nadia Presotto in
“Atmosfera Veneziana”,
dove affiora, nel contorno accennato
di una cupola, il mito di una
città sospesa tra oriente
e occidente, tra San Marco e
Santa Sofia. Anche la “Padova”
che dà il titolo a una
delle opere di Matteo Boato
è uno scenario tra reale
e ideale, è una trama
di linee che seguono il contorno
di strade, piazze ed edifici
da una prospettiva aerea, un’area
di colore dove non compare la
figura umana, ma in cui l’uomo
è presente in quanto
anima del paesaggio urbano,
luogo dell’incontro, della
socialità, della storia.
Imbattersi, poi, nelle visioni
di Antonio Caramia, paesaggi
del pensiero abbarbicati su
isole sospese nel vuoto, sarà
entrare in quella storia, indagare
nelle dinamiche dei rapporti
umani, di cui l’artista
cattura tanto la volontà
costruttiva quando gli opposti
sentimenti di disgregazione
e fuga. Ma sarà soprattutto
cullarsi in atmosfere magiche
in cui risiedere in cerca di
amicizia e quiete.
La memoria dell’uomo
nell’ambiente ispira i
lavori fotografici
presentati da Cosma Ambrogio
Maranti. Nei suoi scatti ama
ritrarre natura e paesaggi della
sua Lombardia. Il bianco e nero
usato per l’edicola campestre
o i ruderi d’ingresso
d’un casale è lo
sguardo del ricordo e ci pone
di fronte un sentimento e un
frammento di vita trascorsa.
Ci inoltriamo ancora nella campagna
lombarda con le tele di Claudio
Costa, attratti nel fascino
della pianura, tra luminosi
torrenti innevati e sentieri
che il pennello anima di un
ritmico frusciare di toni, di
luce e di ombra, in uno stile
mosso, dove si cattura il silenzio
della neve o il passaggio del
vento tra i rami. E’ il
ciclo dell’esistenza e
il mistero metafisico che in
esso risiede a richiamarci nel
paesaggio di Gaspare Sicula,
dove lo spazio pittorico è
scandito in passaggi di tempo
e di spazio, dove lontano e
vicino, prima e dopo, sono qui
e ora. Altra figura di Sicula,
ecco il cactus, allegoria di
strenua resistenza, serbatoio
d’acqua vitale, ricordo
del mare fecondo in mezzo al
deserto. Un mare al cospetto
del quale ci portano i quadri
di Gilberto Piccinini. Di fronte
alla distesa marina, un corpo
mosso e magistralmente rappresentato
nella sua inafferrabile liquidità,
il senso del sublime avvince
la coscienza, tema romantico
che affiora accanto all’invito
al viaggio verso l’ignoto.
“El siempre mar”
di Borges, “il sempre
mare”, ancora s’incontra
nei dipinti di Maria Cristina
Sammarco, elemento di colore
e gesto pittorico.
Dell’universo
acqueo Sammarco coglie
la mobile quiete che induce
l’uomo a tuffarsi in se
stesso fino a sciogliere, nella
fusione con la natura attorno,
ogni nodo del pensiero. Anche
nei quadri a olio di Davide
Minetti lo spazio si dilata,
non nella vastità marina,
bensì nella luce che
infonde di sé una pittura
che è palpito di affetti,
codice di percezioni altrimenti
destinate al silenzio. Da queste
tele, dove il paesaggio è,
dunque, dimora dell’attimo
senza misura, è un gioco
scivolare nell’opera di
Francesca Candito. Da una bruna
striscia di terra, nel dipinto
“Prima delle nuvole”,
la volta azzurra si spalanca
per sfumarsi in tocchi rapidi
di bianco. Candito, infatti,
condivide con Minetti la raffigurazione
di scenari dominati dalla tensione
verso l’assenza di confini,
la ricerca di una dissoluzione
nell’essere naturale.
E l’essere naturale prende
il sopravvento negli scatti
“pittorici” di Vittorio
Pellazza, “Encounters
of seasons” e “The
wood keepers”, dove ci
troviamo invitati a un viaggio
sciamanico nel regno delle forze
ancestrali della natura, degli
spiriti che ne custodiscono
il mistero. I paesaggi di Pellazza,
infatti, sono luoghi in cui
il cosmo spiega un potere sovrastante
l’umano, il quale è
messo a tacere. Percorrendo
aree di silenzio e solitudine,
questo tema ritorna nella pittura
di Fabio Bertoni, che con la
materia cromatica intrattiene
il rapporto fisico dell’espressionismo.
La natura e le sue forme,
i suoi gusti come i suoi profumi,
mollezze e asperità sono
colore, il paesaggio è
esperienza del colore e il colore,
steso a spatola da un gesto
generoso e vivace, è
tramite d’estasi sensoriale.
Con Pigi Contin, infine torniamo
a una figurazione vicina al
reale, sulle tracce dell’uomo,
tra le pietre intrise di storia
del suo edificare per coglierne
bene e bellezza, qui identificati
nella sacralità di una
chiesa in collina. Nella ricerca
pittorica di Contin, dunque,
etica ed estetica della rappresentazione
si ricongiungono e il paesaggio
è luogo di metafore visive
per potervi dar voce.
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