L’esigenza
di confrontarsi con lo spettatore
pone all’artista
il problema di rendere visibile il più
possibile il proprio lavoro. Se le gallerie
e le istituzioni latitano, la strada e il
suo flusso continuo di persone, auto, rumori,
voci, musiche diventano potenziali laboratori
multimediali sterminati. Questo approccio
artistico al tessuto urbano si sviluppa maggiormente
dalla fine degli anni Settanta, e approda
ai giorni nostri con riconoscimenti anche
da parte dei luoghi tradizionalmente deputati
all’arte.
Le generazioni
di artisti che si sono misurati con il Graffiti
Writing, o la Street Art in
senso più globale, sono portatori di
una cultura underground,
che originariamente fa capo alle comunità
statunitensi vicine all’hip
hop, ma anche vicine allo skate, al surf,
al punk, all’hardcore, al fumetto…
La sottocultura si nutre di nuovi
mezzi divulgativi (murales, fanzine,
sticker art, stencil-graffiti, proiezioni
video, film a basso costo) e trova linfa vitale
anche dalla scena musicale, attraverso bands,
DJs (turntablism, mc-ing, dj-ing) o esibizioni
quali la danza breakdance. L’attitudine
alla base di tutte le sfaccettature del fenomeno
si riassume nel ‘do-it-yourself’,
in altre parole nella capacità di inventarsi
le soluzioni più disparate, spesso
economiche, per realizzare le proprie opere
ed esprimere una condizione socio-culturale
altrimenti (più o meno volutamente)
emarginata e, quindi, destinato all’oblio.
Il fenomeno del Graffiti Writing raggiunge
una prima maturità stilistica con gli
anni Ottanta in stretto contatto con la cultura
hip hop nascente, e con l’emergere della
figura dell’MC che usa il ‘rapping’,
il parlato in sincrono con le basi ritmiche
(beats). Tra i primi a raggiungere il successo,
e ad essere considerati originatori dello
stile, sono gli Herculoids, composti da DJ
Kool Herc, Coke La Rock, Timmy Tim e Clark
Kent. Il nuovo approccio deriva dalle origini
giamaicane di DJ Koll Herc, per il quale diventa
essenziale, e allo stesso completo da un punto
di vista musicale, il ricorso alla semplice
batteria e basso. In particolare il basso
giamaicano possiede un registro di toni molto
gravi, mentre la batteria deve rimanere in
evidenza, per mantenere il groove del brano.
Elemento connaturato
al deejaying è il ‘cuttin' &
scartchin', ossia
l’uso della puntina del braccio del
piatto (del giradischi) come strumento musicale-percussivo,
in grado di manipolare il suono del vinile,
al quale si affianca la danza di strada denominata
break dance, appunto il
ballo acrobatico dei B-Boys sopra i breaks
dei DJs. Insieme al Graffiti Writing,
sono queste le prime espressioni della subcultura
proveniente dalle gangs di afroamericani e
di portoricani, le cosiddette crews,
che vivono nel South Bronx di NY. Questa diventa,
perciò, l’espressione diretta
della strada, che va letta nel suo insieme
audio-visivo, basti pensare che molti writers
intervengono sui muri, piuttosto che sui treni,
indossando le cuffie del walkman, facendo
di tutto questo contesto culturale un riferimento
continuo, nonché un vero e proprio
stile di vita, centrato sul rispetto e sulla
ricerca di una nuova comunicazione e socialità.
Se nella seconda
metà dei Settanta negli Stati Uniti
prende forma la cultura
hip hop, in Europa sta nascendo un
altro fenomeno, che con la sua onda d’urto
avrebbe fatto parlare molto di sé negli
anni a venire, il punk. Tralasciando
la diatriba sul luogo di origine della cultura
punk (USA o UK) resta il fatto che la miccia
mediatica viene accesa all’interno del
circuito musicale inglese.
Nel 1977 un gruppo di ragazzi dell’Essex
comincia un percorso inizialmente musicale,
che poi finirà con l’assumere
connotati assai più ampi. Stiamo parlando
dei Crass, una band osteggiata
in patria che ha comunque realizzato, oltre
che dischi e video, anche interventi di stencil-graffiti.
Alcuni componenti provengono dal circuito
artistico delle performance d’avanguardia,
e trovano in quel preciso momento storico
le condizioni per attuare un’operazione
su più larga scala, seppure con mezzi
esigui.
Cominciano ad utilizzare lo stencil-graffiti
per lasciare messaggi nell’area della
metropolitana di Londra, diffondendo il proprio
logo, oppure utilizzando altri simboli, appositamente
creati, in grado di sintetizzare il loro pensiero.
Diversamente dalle prime esperienze hip hop
di NY, si può notare come a Londra
gli interventi nell’ambiente urbano
non abbiano richiami all’abilità
esecutiva dell’autore, anzi sono scritte
e messaggi, politici o di critica sociale,
dove non ha importanza il singolo individuo
che le realizza, bensì il collettivo
e gli intenti che lo reggono. I Crass adottano
anche altre forme di propaganda, rigorosamente
autoprodotta, che consistono nel comprare
spazi sulle testate nazionali, distribuire
flexi disc come allegato a riviste, realizzare
alcuni video, films, grafica degli albums,
collages. Promuovono e producono circa settanta
altri artisti, inoltre il gruppo ricorre anche
all’attivismo politico.
Appare evidente quanto le ricerche sulla soluzione
visiva e musicale si intersechino continuamente,
portando a qualcosa di inscindibile, dal momento
che ogni volta che viene visto il logo (spray
stencil-graffiti) dei Crass, nelle
strade o su migliaia di giubbotti di pelle
nera, inevitabilmente si prende atto della
loro capacità divulgativa, in grado
di utilizzare anche un campo di azione diversificato.
Si tratta, in ultima analisi, di un percorso
che ha tenuto conto della lezione Dada e della
performance art, attraverso una personale
rilettura in grado di evocare la realtà
più cruda della strada, quanto il suo
degrado sociale.
Una forma di Street Art finora
poco documentata è quella dei flyers
(locandine, poster) che documentano
le gesta di hardcore bands americane. Eppure
questi rappresentano i documenti grafici di
un momento particolare della musica americana,
che, attingendo dalla tipica urgenza punk,
produce sonorità estreme in risposta
al declino dell’esperienza new wave,
ormai integrata nei meccanismi discografici
ufficiali. Come per la fase più matura
del punk, l’hardcore predilige la produzione
indipendente e mostra una precisa presa di
posizione politica di dissenso. Il momento
florido di questa esperienza si sviluppa dalla
fine dei Settanta alla prima
metà degli anni Ottanta
e genera bands pressoché
in tutte le maggiori città americane.
L’uso del flyer permette di divulgare
eventi, spettacoli e concerti in maniera pressoché
libera da parte degli organizzatori, soprattutto
se questi non hanno i mezzi per acquistare
spazi nei giornali locali. Da semplice mezzo
di promozione di concerti hardcore, le locandine
diventano un modo per esprimere, nel contesto
urbano, un senso di appartenenza ad un determinato
circuito musicale, o più in generale
uno stile di vita ai margini del pensiero
dominante.
Successivamente queste espressioni grafiche,
spesso molto dirette e d’effetto, sono
entrate nella sfera di interesse dell’arte
ufficiale, basti pensare ad un artista come
Raymond Pettibon, che partito
dalle copertine di albums dei Black Flag,
oltre che iniziale componente della band,
diventa una figura rinomata nella scena artistica
contemporanea. La sua formazione universitaria
è in campo economico, infatti insegnerà
matematica nelle scuole superiori, prima di
venire coinvolto dal fratello Greg Ginn, fondatore
dell’etichetta discografica SST Records,
nel campo della grafica e dell’arte
fortemente politicizzata, appunto associata
all’allora nascente fermento hardcore
punk.
Negli anni Novanta
un graffiti writer di
base a Bristol alterna il suo intervento sui
muri della città, con l’interesse
per la musica. Robert Del Naja
crea, quindi, un gruppo di musicisti e vocalists
col quale collaborare in campo musicale, e
nel volgere di qualche anno comincia un’avventura
che influenzerà molta musica di quel
decennio. Con questa band, dal nome Massive
Attack, prende forma un nuovo genere
musicale, dalle componenti eterogenee, che
seppur legato alle peculiarità dell’hip
hop predilige tempi più lenti (down
beat), introducendo influenze provenienti
dal soul, dal reggae, dall’acid jazz,
dal dub, dall’elettronica in genere,
unite ad un forte coinvolgimento emotivo delle
parti cantate. Del Naja quando successivamente
comincerà ad esporre nelle gallerie,
affiancherà all’allestimento
dei dipinti il proprio live dj set.
Nel trip hop
si alternano
tipologie diverse di canto, passando dal rapping
al soul, al rasta style, al funky, ecc. con
enorme disinvoltura, rendendo le barriere
tra i generi davvero sottili e mantenendo
un suono tendenzialmente minimale, seppur
pieno e coinvolgente. Basti pensare all’inizio
del brano ‘Safe From Harm’ dell’album
di debutto dei Massive Attack ‘Blue
Lines’, e quanto la sola base del basso
e batteria, tra il funk e il dub, riesca a
caratterizzare la matrice stilistica che caratterizzerà
la produzione di altre formazioni.
Nella stessa città di Bristol si muove
un altro graffiti writer, destinato a diventare
famoso in tutta l’Inghilterra:
Bansky. Il suo stile è tradizionalmente
lo stencil-graffiti, dai toni critici nei
confronti della divulgazione delle informazioni
da parte dei mass media, esprimendo un punto
di vista alternativo a quello generalmente
assimilato. Lo stesso Bansky ha contatti con
la scena musicale, per la quale realizza copertine
di album e grafica.
Va rilevato che anche la skate culture
si esprime col graffiti writing, soprattutto
dal momento in cui l’hip hop comincia
ad avvicinarsi a questa disciplina, la quale
è sinonimo del ‘vivere
la strada’, unendo il brivido
di saltare pericolosamente su muretti, o altri
ostacoli urbani, con il puro divertimento.
Lo skater spesso si lancia nelle sue acrobazie
indossando le cuffiette, ascoltando musica
che può spaziare dal rap al punk e
al metal.
Ciclicamente nel corso dei decenni si rileva
uno spostamento di azione di alcuni writers
dalla strada alle gallerie,
al settore della grafica, o della moda, producendo
esperienze creative che passano sotto il nome
di Post-Graffiti. Mantenere
il legame con la strada non è sempre
facile, perché subentrano nell’operato
degli autori nuovi meccanismi di mercato e
di urgenza espressiva. Taluni, comunque, alternano
al nuovo corso espositivo nei circuiti ufficiali,
sporadici live paintings, affiancando alla
propria esibizione un dj set per ribadire
il legame stretto che intercorre tra l’intervento
pittorico e il supporto sonoro.
Foto: archivio sognoelektra
by sognoelektra tutti i diritti
riservati - copyright by Giovanni Ciucci
- Pubblicato Giugno 2008 |