“Ogni
materiale ha una propria storia.
Non esiste un materiale “migliore”
di un altro. E’ semplicemente
innaturale per le persone utilizzare
la pittura ad olio così
come lo è utilizzare
qualsiasi altra cosa. Un artista
dà vita al materiale
dalla propria esperienza, ignoranza,
familiarità o confidenza”.
Definito ora neodada,
ritenuto altre volte rappresentante
della Pop Art,
Robert Rauschenberg
rifiutò in realtà
qualsiasi etichetta e non smise
mai di sperimentare nuovi materiali
e nuove tecniche nell’arco
di tutta la sua lunga attività.
La
ricerca e la scoperta delle
innumerevoli possibilità
di un materiale e della propria
attività segnano tutta
la sua opera: a partire da Elemental
Sculptures del 1953,
passando per i celebri Combines
(1953 – 64 c.),
che permettono all’artista
di cancellare il confine
tra pittura e scultura,
e per Oracle (1962 –
1965), fino ad arrivare
al gruppo di sculture protagoniste
della mostra di Villa
Panza: Gluts. Quello
di Rauschenberg non è
un percorso lineare; egli non
traccia con la propria ricerca
una strada rettilinea, un’evoluzione
interna al proprio genere. Citando
Susan Davidson si può
affermare che le serie di sculture
non sono da comprendersi come
una progressione ininterrotta,
ma come gli alti e bassi o le
deviazioni di quei percorsi
che ognuno di noi attraversa
nella vita, tangenti che per
Rauschenberg diventano riflessioni
estetiche dei suoi percorsi.
Sviluppando
un’estrema simpatia, come
egli stesso dice, per gli oggetti
di scarto, l’artista,
fin dal 1970,
comincia a raccogliere ferraglia
dalla discarica Gulf Iron and
Metal Junkyard in Florida, lontana
un’ora dalla propria casa
– studio. A partire
dagli anni ’80, Rauschenberg
inizia a concentrare il proprio
lavoro sullo studio delle proprietà
visive del metallo, tentando
di trattenere la capacità
riflettente, materica e scultorea
di alluminio, bronzo, ottone,
rame, tramite l’assemblaggio
di diversi oggetti
o con la serigrafia
di immagini fotografiche.
Il primo frutto di questa nuova
ricerca è appunto la
serie scultorea Gluts.
Negli stessi anni, infatti,
durante un viaggio in Texas,
suo paese d’origine, Rauschenberg
viene a contatto con la recessione
economica della costa del Golfo,
scaturita da un’eccedenza
nella produzione petrolifera.
Da qui l’idea di dare
corpo a quella che definisce
l’avidità rampante
dei suoi tempi, tramite l’assemblaggio
di detriti, rifiuti industriali,
segno tangibile di una situazione
sociale dannosa per l’ambiente.
I Gluts sono per il loro autore
souvenir privi di nostalgia;
egli afferma: “Voglio
semplicemente rappresentare
le persone con le loro rovine”.
Glut, suono quasi onomatopeico,
significa infatti sovrabbondanza,
eccesso, saturazione.
Si
possono individuare, tra le
circa duecentocinquanta
sculture eseguite nell’arco
di una decina di anni,
tre stili differenti,
tutti visibili nel corso della
mostra, che espone un totale
di trentotto creazioni. Ci sono
le sculture nelle quali l’artista
mette in evidenza soprattutto
le superfici monocromatiche,
talvolta lasciando visibile
il metallo, come in Cathedral
Late Summer Glut (1987),
altre volte sovrapponendo
superfici dipinte e stratificate,
rovinate dal tempo,
come in Wedding Summer
Glut (1987). Un secondo
gruppo è costituito da
quelle sculture ottenute con
l’utilizzo di segnali
di metallo di vario genere:
frecce, cartelli stradali, pubblicità
di benzina e gasolio, numeri.
Ne sono un esempio Stop
Side Early Winter Glut (1987)
o Intersection Glut
(1987). In queste opere
si può sicuramente leggere
una forte vena umoristica e
ironica, espressa soprattutto
tramite i giochi di parole e
gli anagrammi. Infine, il terzo
tipo è rappresentato
da semplici assemblaggi
non lavorati o lavorati solo
in minima parte, come
Measure for Measure
Glut (Zurich) (1988),
con i quali si vuole stimolare
una nuova osservazione delle
qualità intrinseche dell’oggetto
originario, per giungere a una
nuova interpretazione dell’oggetto
stesso.
Indubbiamente
la mostra mette in luce anche
la particolare fiducia che Rauschenberg
riponeva nell’arte e nella
collaborazione artistica, che
egli considerava strumenti per
giungere a un cambiamento sociale
internazionale. Per questo,
nel 1984, egli inaugurò
il ROCI, (Rauschenberg
Overseas Culture Interchange),
intraprendendo una serie di
viaggi in paesi politicamente
oppressi allo scopo di realizzare,
in collaborazione con le popolazioni
bisognose, progetti artistici
che potessero offrire un contributo
alla pace e alla cultura.
La
mostra di Villa Panza
è la tappa conclusiva
(con un’aggiunta di otto
opere) di un iter che ha già
visto approdare i Gluts al Guggenheim
di Venezia, al Museo Tinguely
di Basilea e al Guggenheim di
Bilbao. La scelta non
sarebbe potuta ricadere altrove,
se si pensa che Giuseppe
Panza fu il primo in
Italia a collezionare le opere
dell’artista americano,
con l’acquisto dei Combines
nel 1959; Gift for Apollo (1958),
con cui Rauschenberg partecipò
alla Biennale di Venezia
del 1964 e vinse il
Gran Premio per la Pittura,
apparteneva proprio alla collezione
del mecenate varesino.
L’esposizione,
presentata dal FAI –
Fondo Ambiente Italiano,
è a cura di Susan Davidson,
Senior Curator, Collections
& Exhibitions, Museo Solomon
R. Guggenheim, e di David White,
Curator, Estate of Robert Rauschenberg
ed è stata organizzata
con il contributo e il patrocinio
di Regione Lombardia
Cultura, della Provincia di
Varese e del Consolato Americano
e con il contributo del Comune
di Varese e di Ecodom;
lo sponsor principale della
mostra è BSI,
che da sempre supporta eventi
in ambito culturale e artistico.
Info
Fino
al 27 febbraio 2011
Orario: dal martedì alla
domenica, dalle 10 alle 18.
Ultimo ingresso alle 17.30
Biglietti: per mostra, Villa
e collezione permanente: adulti
10 €, ridotti (bambini
4 – 12 anni, studenti
fino a 25 anni) 5 €, iscritti
al FAI 5 €.
FAI – Villa e
Collezione Panza. Piazza
Litta 1, Varese – tel.
0332/283960
faibiumo@fondoambiente.it
Visite guidate su prenotazione.
Bookshop. Catalogo mostra: 25
€.
Per maggiori informazioni sul
FAI: www.fondoambiente.it
Valentina
Mariani
ottobre 2010 |