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EVENTI
news
a cura di
Rebecca Mombelli
Corrispondente
da Londra
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TATE
MODERN - LONDRA
Storia
di come una centrale elettrica
si trasformò in un polo
internazionale di cultura
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Foto
R.Mombelli
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TATE
MODERN - LONDRA
Storia
di come una centrale elettrica
si trasformò in un polo
internazionale di cultura
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Interno
Tate Modern - Foto R.Mombelli
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Esterno
Tate Modern - Foto R.Mombelli
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La
Tate Modern di Londra
è una galleria bambina.
Bambina prodigio. Nata nella
sua prima forma nel 1897 a
Millbank – nella sede
ora occupata dalla Tate
Britain -, e allora
una vecchia prigione riorganizzata,
si ingrandì negli anni
tanto da permettere la qualificazione
architettonica di una centrale
d’energia elettrica
situata in una zona degradata
della città. Nel 2000,
finiti i lavori, la Tate
Modern, nella sua
nuova veste, aprì i
battenti; da quel momento
non si è più
fermata. L’intera area
di South Bank, dieci anni
fa ancora una zona operaia
e certamente fuori da qualsiasi
guida turistica della città,
è stata trasformata
in un quartiere “IN”;
strano destino per una città
che prima ha sviluppato la
West Side, poi la East side
(tutt’oggi centro del
benessere) e che torna a guardare
ad occidente proprio grazie
all’apertura della Tate.
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Ad
oggi la Tate è una delle
tre mete più visitate
nella capitale e parte
integrante della città,
al punto che non potremmo immaginarla
senza.
Oggi la collezione è
divisa in due sezioni
distinte: la prima
è dedicata all’arte
contemporanea internazionale,
ed ha sede nella vecchia
centrale elettrica di South
Bank (e nei due distaccamenti
di Liverpool e St. Ives); la
seconda invece è completamente
dedicata all’arte
britannica, e la troviamo
nella primaria sede a Millbank.
È da sottolinearsi l’eccezione
in internazionale in quanto,
per lungo tempo e forse ancora
oggi, si è considerata
l’arte, almeno quella
che conta, come un prodotto
europeo e tutt’al più
nordamericano; la collezione
Tate invece ha, per
prima, superato il muro, presentando
capolavori di ogni parte
del mondo.
Prima di poter vedere qualsiasi
opera d’arte, una volta
entrati nella vecchia power
house si viene risucchiati nella
Turbine Hall:
centro vitate della galleria,
ha la struttura di una piazza
cittadina, e come in esse, dal
centro si sviluppano strade,
ci sono panchine e negozi –
qui trasformati in biglietterie
e bookshop -, e i pavimenti
sono grigi come l’asfalto.
Ma al centro di essa non sorge
una statua di un combattente
vittorioso, o una fontana barocca,
bensì le opere
degli artisti chiamati,
di volta in volta, a sfidare
questo volume immenso di spazio,
vuoto di oggetti, ma pieno di
pensieri, idee, energia e aspettative,
per creare un’opera ad
hoc. La visita alla
galleria potrebbe terminare
qui, e sarebbe già soddisfacente:
seduti su una panchina ad osservare
i lavori di montaggio o smontaggio
delle opere, a osservare la
gente che cammina per la strada,
chi interessata, chi affascinata,
chi impaurita. Ma noi vogliamo
andare avanti, e scoprire in
che modo la Tate sia
riuscita a vincere la sfida
e diventare un esempio mondiale
nella museologia contemporanea.
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Interno
Tate Modern - Foto R.Mombelli
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Il
precedente mondiale della Tate
fu il MOMA di New York,
nel quale le opere sono presentate
divise in due sezioni (old modern/contemporary)
e suddivise nei grandi centri
focali degli –ismi. Ma
nel 2000, anno di nascita della
nuova Tate Gallery,
ci è accorti che, con
il contemporaneo, non è
più possibile catalogare
e classificare le opere in modo
univoco, né è
possibile trovare un’unica
spiegazione a tutti gli impulsi
artistici. Si è voluto
così, per la prima volta
nella storia, presentare la
collezione suddividendola per
temi (landscape/still
life/ nude/ history) senza dare
conto alla cronologia, e piuttosto
ricercando le varie influenze
tra le varie correnti e i vari
artisti. Si è trovato
così che non c’è
poi grande differenza tra Claude
Monet e Richard Long, tra Alberto
Giacometti e Barnett Newman.
Ma nella rapida crescita di
questa galleria, il primo esperimento
fu positivo ma durò poco,
e, dal 2006, i galleristi hanno
cercato di rispondere a queste
domande: che dialogo c’è
tra passato e presente? Cosa
ha prodotto cosa? Ma si sono
anche resi conto che le interpretazioni
possibili sono molteplici e
forse addirittura numerose come
i visitatori.
Le sale oggi sono quattro,
e più che temi
rappresentano dei modi di guardare
all’arte e di lavorare
con essa. Il primo è
STATE OF FLUX
dove le opere girano intorno
al tema del Cubismo,
del Futurismo e del Vorticismo,
presentando le possibili evoluzioni
di queste idee, in accordo o
contrasto con esse. POETRY
AND DREAM indaga invece
sul tema del Surrealismo,
della Metafisica e dei vari
stadi dall’inconscio alla
gestualità.
Con MATERIAL GESURES
ci troviamo a che fare con gli
esperimenti post bellici che
portano ad ENERGY AND
PROCESS, ossia alla
grande revisione dell’arte
del secondo ‘900
a partire da Arte Povera.
Camminando per le sale, che
si aprono e si chiudono, si
alzano e si abbassano a piacere
delle opere stesse, che così
collocate sembrano quasi parlanti,
ci rendiamo conto che tutta
la nostra concezione di storia
dell’arte, semplice, lineare,
chiara è completamente
stravolta in favore di una visione
mobile, nuova, dove, in un mondo
che apre agli artisti di strada
e che ripudia le Accademie,
possiamo essere davvero tutti
critici ed avere tutti ragione.
E forse è così
che davvero l’arte torna
ad esser Arte e non solo opinione
e gusto dettato da una moda
o dalla parola di un critico
in voga.
Nonostante la sua grandezza,
fisica ed intellettuale, e nonostante
il peso che oggi la Tate
Gallery ha nel panorama
museale mondiale, rimane un
luogo famigliare, a misura d’uomo,
e possiamo sempre ritrovare
i posti che ci fanno stare bene,
come la Sala Rothko,
che con le sue enormi tele e
le pennellate rosse è
una specie di seconda dimensione,
o la grande linea dell’arte
che ci guarda come per dire
che, nonostante tutto, la storia
esiste ancora e non ci dobbiamo
preoccupare.
L’esperimento è
riuscito, dunque? Io credo di
sì, ma non credo che
nulla rimarrà definitivo
alla Tate, perché è
un organismo in evoluzione e,
come l’hanno definita,
un “perpetual market of
emotion and imagination”.
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Interno
Tate Modern - Foto R.Mombelli
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Esterno
Tate Modern - Foto R.Mombelli
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Rebecca
Mombelli |
Rebecca Mombelli, diplomata
al liceo classico è
laureata in Lettere Moderne,
indirizzo
Storico-Artistico, all'Università
degli Studi di Pavia, collabora
con testate web per pagine
di opinione e viaggi.
Interessata alla didattica
museale ha frequentato il
Laboratorio Bruno Munari di
Milano, collaborando per
uscite didattiche ad alcune
mostre d'arte con scuole elementari.
Attualmente vive a Londra.
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