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IN EVIDENZA
a cura di Aurora
Tamigio
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FESTIVAL
INTERNAZIONALE
DEL FILM DI ROMA 2011
I
premi, i film, gli interpreti.
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FESTIVAL
INTERNAZIONALE DEL FILM DI ROMA
2011
I premi, i film, gli
interpreti. |
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Quest’anno
il Festival del Cinema di Roma
ha compiuto sei anni.
Nonostante questa rassegna sia
ancora un’infante nel
mondo delle manifestazioni cinematografiche,
i film presentati nella capitale
sono ormai attesi tanto quanto
quelli che sfilano a Venezia
o a Cannes.
La più “bella”
statuetta fra i premi cinematografici
è stata assegnata quest’anno
- da una giuria presieduta da
Ennio Morricone
e composta da Susanne
Bier, Roberto Bolle, Carmen
Chaplin, David Puttnam, Pierre
Thoretton, Debra Winger
– ad Un cuento chino,
di Sebastián
Borensztein (vincitore
anche del Premio BNL del
pubblico al miglior film). Mentre
sullo sfondo di un paesaggio
idilliaco una mucca cade dal
cielo su una sfortunata coppietta
di cinesi innamorati, a Buenos
Aires scorre monotona la vita
di Ricardo, collezionista di
ritagli di giornale con notizie
stravaganti dal mondo (tra cui
figura proprio la notizia della
mucca caduta dal cielo). Sarà
l’incontro con un giovane
cinese, derubato, bisognoso
di aiuto e incapace di parlare
una sola parola della lingua
di Ricardo che trasformerà
non solo il protagonista, ma
l’intero film.
Un cuento chino inizia
come un film dei Cohen
ma prosegue come un racconto
semplice, dolce/amaro di un’amicizia
tra due personaggi provenienti
dalle opposte metà del
mondo. Il regista argentino
è al suo terzo lungometraggio:
il suo primo film La
suerte está echada
(2005), è stato premiato
ai Festival del Cinema Latino
Americano di Tolosa e Trieste.
Nel racconto elegante e ironico
della vicenda di Un cuento chino,
emergono le origini del regista,
figlio del comico argentino
Tato Bores.
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Delude
in questa edizione il cinema
francese, tra le ambizioni sentimental-sociopolitiche
di Una vie meilleure
di Cédric Kahn
(di cui si segnala solo l’interpretazione,
premiata dalla Giuria, di Guillaume
Canet) e l’ultima fatica
di Claude Miller,
già assistente alla regia
di Bresson e Godard,
nonchè direttore
di produzione per Truffaut,
che ripropone a Roma l’archetipo
del viaggio di scoperta in una
sceneggiatura già vista
in cui l’unica nota positiva
è la brava Maya Sansa.
L’ambito Premio
Speciale della Giuria
è andato quest’anno
a The eye of the storm
di Fred Schepisi, racconto
familiare di due figli frustrati
al capezzale di una ingombrante
“madre-padrona”.
La capacità di Schepisi
di schivare il melodramma in
favore di un cinismo tutto british
che al cinema è (quasi)
sempre sinonimo di successo.
Goffrey Rush, Charlotte
Rampling e Judy Davis costituiscono
un terzetto indimenticabile
per ferocia comica e intensità.
La vera sorpresa di questo Festival
è parso, a parer comune
a molti, Hotel Lux, commedia
tedesca di Leander Haußmann.
Nella Germania del ’33
due comici mettono in piedi
uno spettacolo di cabaret di
successo in cui uno dei due
interpreta Hitler e l’altro
Stalin; l’intreccio segue
i due personaggi tra equivoci,
scambi di persona e una storia
d’amore, in mezzo all’Europa
in guerra e sino all’Hotel
Lux di Mosca dove uno dei sue
si esibirà dinnanzi allo
stesso Stalin. Il gusto comico,
le ambientazioni da cabaret
e il tono burlesco che accompagna
il film ricorda i maestosi esempi
di satira del tempo, da Chaplin
a Lubitsch, ma il pregio della
pellicola è quello di
riuscire nell’impresa
di raccontare la storia in fieri,
esorcizzandone l’aspetto
più drammatico. A Ralf
Wengenmayr è
andato il Premio Speciale
della Giuria per la migliore
colonna sonora.
Il cinema italiano in concorso
non ha brillato per originalità
e nonostante le polemiche sollevate
da Pupi Avati,
la scelta della Giuria di non
premiare alcun film di casa
appare del tutto condivisibile.
Ha costituito però una
piacevole sorpresa il divertente
La kryptonite nella
borsa, opera prima di Ivan Cotroneo.
Nonostante l’ambientazione
anni ’70 (di cui proprio
il cinema italiano non sembra
riuscire a liberarsi) il film
presenta aspetti di grande contemporaneità
e un ineccepibile gusto per
il comico. Nella Napoli del
1973 si racconta, attraverso
gli occhi miopi di Peppino,
il più giovane della
famiglia Sansone, la storia
della stramba famiglia, tra
un cugino che si crede Superman,
i fratelli modaioli, il padre
fedifrago e la madre depressa.
Nonostante le componenti possano
sembrare le stesse del più
scarno cinema italiano, la pellicola
di Cotroneo (esordiente alla
regia, ma già provvisto
di una lunghissima esperienza
in televisione e in sceneggiature
celebri come Piano, solo e L’uomo
che ama), ha il pregio di aver
sfruttato al massimo la resa
comica di un intreccio ordinario,
fino a farne una parodia dalla
famiglia borghese italiana.
Lode a Cotroneo per aver tratto
il comico persino da Valeria
Golino.
Fuori concorso e
di tutt’altro tono, L’industriale,
di Giuliano Montaldo,
volge uno sguardo acuto e autoriale
sulla crisi economica italiana.
Pur notandosi la mano del grande
regista nell’andamento
teso e nervoso dell’intero
film, non si può negare
che la riuscita della pellicola
sia da attribuire quasi interamente
all’interpretazione di
Pierfrancesco Favino,
protagonista nei panni dell’ingegner
Nicola Ranieri, l’industriale
al quale le banche, in tempo
di crisi, negano i prestiti.
A lui l’onere di affrontare
da un lato le preoccupazioni
degli operai in fabbrica, dall’altro
la precarietà familiare.
Se i personaggi appaiono tutti,
dal protagonista al capo operaio,
a tratti troppo abbozzati, si
può dire siano altrettanto
ben retti da interpretazioni
(Carolina Crescentini,
Francesco Scianna)
che seguono per efficacia quella
di Favino. La sceneggiatura,
a tratti un po’ semplicistica,
è tuttavia compensata
dagli interpreti e dalla fotografia
di Arnaldo Catinari
che restituisce allo spettatore
le atmosfere grigie e cupe di
alcune delle migliori opere
passate di Montaldo.
Pur non partecipando alla competizione
del Festival, L’industriale
ha fatto incetta di premi collaterali,
specie grazie ai suoi attori:
a Francesco Scianna
è andato il Premio L.A.R.A
(Libera Associazione
Rappresentanza di Artisti) per
il miglior interprete italiano,
a Pierfrancesco Favino 3
Social Movie Award, premio assegnato
dagli utenti dei diversi social
network all’attore preferito.
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Infine,
fuori concorso
anche il meraviglioso
Pina-3D, omaggio
di Wim Wenders
all’indimenticata
coreografa tedesca Pina
Bausch, prematuramente
scomparsa nell’estate
2009. Il film di Wenders
nasce dalla passione
del regista per l’opera
di Pina Bausch - passione
iniziata nel 1985, dopo
aver assistito per la
prima volta allo spettacolo
Cafè
Müller
- ma anche dall’amicizia
che legava i due artisti.
È stato proprio
il progetto incompiuto
(a causa della malattia
e poi della morte di
Pina Bausch) di realizzare
un film insieme, ad
aver spinto Wim Wenders
a sfruttare le potenzialità
della tecnica
3D per trasportare
sul grande schermo il
teatrodanza
di Pina. Già
presentato all'ultimo
Festival del
Cinema di Berlino, il
film è approdato
a Roma nella sezione
Spettacolo - Eventi
Speciali del
Festival. In occasione
della proiezione ufficiale,
tenutasi lo scorso 31
ottobre, il red carpet
è stato illuminato
dall’assolo Nefès (in
turco per "respiro"),
creazione della stessa
Bausch, opera donata
della grande coreografa
all'Accademia
Nazionale di Danza di
Roma. |
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INFO
Festival
del Cinema di Roma -
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Aurora
Tamigio
Pubblicazione Novembre 2011 |
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Aurora
Tamigio |
Dopo la maturità scientifica
si è laureata in Lettere
Moderne, con indirizzo storico-artistico,
all'università di Pavia.
Oggi è iscritta alla
facoltà di Storia dell'Arte
e lavora presso l'ufficio stampa
di una nota casa editrice.
Collabora come redattrice per
testate web con attenzione alle
pagine culturali e di opinione.
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