di Ignazio Fresu
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>Ignazio
Fresu intervista Anna Beltrame
L'ITALIA
A PRATO FRA TAGLI E CULTURA DEL FARE
Ignazio Fresu Intervista l’assessore
alla cultura Anna Beltrame
Già
dagli anni settanta Prato è stata
un esempio in Italia e nel mondo per
l’attenzione nei confronti della
arte contemporanea.
Oggi, lei, in qualità di assessore
alla cultura di Prato, alla sostanziale
riduzione del budget a disposizione
dell’Amministrazione Comunale
a seguito della legge Finanziaria che
permette di stanziare solo il 20% della
spesa sostenuta nel 2009 per le attività
culturali, come intende affrontare questa
grave difficoltà, dal momento
che, come si auspica da più parti
e trasversalmente alle appartenenze
politiche, la cultura viene considerata
un’importante componente per superare
la crisi che attanaglia in modo particolare
la nostra città?
Precisiamo
la questione, il taglio del
80%, rispetto a quanto speso
nel 2009 non riguarda tutta
la cultura perché altrimenti
potremmo andare tutti a casa e dire:
ma in che Paese siamo finiti? Riguarda
le mostre! Questo a seguito
dell’accoglimento di una circolare
interpretativa dell’ANCI che ha
stabilito che questo vincolo del
20% non riguarda le Associazioni, le
Fondazioni o le Società Pubbliche
che hanno nell’allestimento
delle mostre la propria missione. Il
Pecci è esentato da
questo vincolo perché altrimenti
dovrebbe chiudere. Certo questo è
un problema che riguarda le iniziative
direttamente fatte dall’assessorato
perché nel 2009 il mio predecessore
Andrea Mazzoni che poveretto come me
ha sempre dovuto fare le cose con poco,
aveva stanziato in bilancio 15.000 euro,
il 20% di ciò fa 3.000 - quindi
facciamo abbastanza ridere. Però
questo è il mio problema, non
riguarda il Pecci. Naturalmente il Pecci
- così come la Camerata, il Metastasio,
tutte le istituzioni culturali della
città - subisce il peso
dei tagli alla Cultura ed è
evidente che è una cosa che fa
star male tutti. Io spesso, scherzosamente
dico, più che l’assessore
alla Cultura faccio l’assessore
alle nozze con i fichi secchi! Per cui,
forse anche da donna, in maniera molto
pragmatica cerco di collegare, magari
due problemi, perché due problemi
messi insieme possono in qualche modo
far scaturite una soluzione appunto
all’insegna del pragmatismo, del
buon senso e credo soprattutto della
necessità comunque di guardare
alla realtà perché è
inutile disperarsi e io non posso limitarmi
a piangere. Con Edoardo Nesi
[assessore alla Cultura della Provincia
di Prato, ndr] spesso ci si dice: ma
se avessimo fatto gli assessori alla
cultura quindici anni fa che bella vita
avremmo fatto. Io vorrei avere vent’anni
di meno, dieci centimetri in più
di altezza e tante altre cose, però
devo fare i conti con quel che ho, con
quel che sono, con la situazione che
devo affrontare. Per cui lo so che sarà
un altro anno molto difficile come lo
è stato quest’anno. Ancora
non c’è la definizione
del bilancio, appunto nell’attesa
di capire la dimensione di questi tagli,
neanche noi abbiamo potuto approntare
il conto economico per quanto riguarda
la gestione del 2011. Il mio sforzo
sarà quello che ho già
compiuto con molta fatica nel 2010,
cioè cercando di utilizzare
al meglio le risorse che ho,
cercare di coniugare qualità,
accessibilità ad un vasto pubblico,
sostenibilità economica alle
iniziative e coinvolgimento dei talenti
pratesi. Queste sono le quattro, diciamo
così, direttrici alle quali io
aspiro con molto senso pratico, insieme
allo staff prezioso che collabora con
me.
Il Pecci è un problema,
ma non sono i tagli di oggi, sono state
anche le scelte del passato,
non dico gli ultimi anni perché
Valdemaro Beccaglia ha fatto un’operazione
molto importante del risanamento dei
conti, ma neanche lui è Mandrake,
quindi se al Pecci sono state assunte
tante persone e anche a degli stipendi
che non sono proprio quelli dei dipendenti
comunali, (spesso sono più alti)
si tratta di qualcosa che Beccaglia
e noi adesso abbiamo purtroppo ereditato.
Quando le vacche erano più grasse
negli enti di cultura c’era più
spazio per avere una gestione, non “manageriale”,
di cui noi, ora paghiamo le conseguenze
in tempi di vacche magre. Il
Pecci ha bisogno di
un milione e cinquecentomila euro solo
per pagare gli stipendi e le utenze
ed è evidente che se il resto
della città non contribuisce
più come prima al funzionamento
del museo che per il momento è
sulle spalle del comune quasi
esclusivamente, oltre al contributo
della regione che speriamo
ci venga riconfermato, beh, è
evidente che l’attività,
quella vera che dovrebbe fare la promozione
dell’arte contemporanea, viene
fortemente ridimensionata nella necessità
di pagare le spese fisse, ripeto, stipendi
e utenze.
Valdemaro Beccaglia ha, negli anni passati,
cercato di ridurre il personale
non confermando alcuni contratti di
collaborazione continuativa che erano
stati rinnovati, non confermandoli si
è trovato a gestire tre cause
di lavoro che sono state perse, perché
spesso succede che i magistrati del
lavoro diano ragione a chi fa causa.
Questa è la situazione. Una persona
bravissima come Silvia Bacci che è
una precaria, in questo momento è
a casa, e questa cosa grida vendetta
perché una persona brava come
lei ha diritto di lavorare e non parlo
di una ragazza giovane perché
Silvia ha l’età mia, figuriamoci
i giovani. Io però non voglio
passare come per quella che si lamenta
e basta, cerchiamo di fare il più
possibile e il nostro meglio sapendo
benissimo che la contemporaneità
è una sfida molto importante
per Prato e credo anche a livello regionale,
associare il brand alla contemporaneità,
al Pecci, possa essere un’idea
vincente per l’area metropolitana
perché certamente non
possiamo competere con Firenze per quanto
riguarda la straordinaria eredità
rinascimentale, ma
la contemporaneità è Prato.
E quindi, ognuno facendo il meglio possibile,
cerchiamo di superare questa temperie
di tagli che oggettivamente avremmo
preferito che non ci fosse, ma sulla
quale purtroppo più che cercare
di risparmiare al massimo le risorse,
non possiamo fare.
Tutti
i Comuni ed a volte anche i più
piccoli, hanno strutture per le esposizioni,
la promozione artistica e mostre temporanee
per la cittadinanza, invece
da lei è stata presa la decisione
di escludere gli unici due spazi disposti
dall’Amministrazione Comunale
alle esposizioni temporanee: il
Cassero medievale e le Antiche Stanze
di Santa Caterina destinandoli
a mostre permanenti. Il primo all’esposizione
delle foto dell’Archivio
Fotografico Toscano di proprietà
del Comune di Prato;
mentre le Antiche Stanze sono state
trasformate in sede permanente della
collezione di gessi dello scultore
Lorenzo Bartolini provenienti
dal Museo Civico di Prato.
Sovrapponendosi di fatto alla straordinaria
collezione fruibile nella prestigiosa
gipsoteca più visitata al mondo,
della Galleria dell’Accademia
di Firenze. La collezione,
sottratta al museo Civico non rischia
di perdere di contestualizzazione e
diventare la brutta copia di quella
di Firenze? Mentre il Cassero medievale,
uno dei luoghi più suggestivi
della città, con le foto di archivio
in mostra permanente non rischia di
diventare un cimitero o peggio, come
appare ora, chiuso e abbandonato?
Ecco,
qui posso precisare perché hai
detto molte cose poco precise. Intanto
il museo civico è chiuso
quindi non possiamo esporre i gessi
di Bartolini in Palazzo Pretorio anche
se stiamo andando ad una accelerazione
potente dei lavori e contiamo di inaugurarlo
nel giro di un paio d’anni, ma
questo è un altro capitolo complicato.
I gessi fino allo scorso dicembre erano
in deposito, inaccessibili. Voi sapete
benissimo che questi gessi non
sono di proprietà del Comune
di Prato ma sono stati dati
in deposito agli inizi degli anni venti
del secolo scorso dallo Stato a Prato.
Lo scorso aprile io ho avuto, più
o meno, la seguente comunicazione: “O
voi esponete i gessi o ve li portiamo
via”. Cosa avreste fatto?
Però
praticamente è stato escluso
quello che era uno dei due unici spazi
La risposta è articolata. Allora,
io dovevo assolutamente esporre i gessi
altrimenti Prato li avrebbe perduti
per sempre perché giustamente
la Sovrintendenza dice:
questi sono di proprietà dello
Stato, li abbiamo dati in deposito al
Comune di Prato, ma se sono vent’anni
che non si possono vedere, nell’occasione
di questa splendida mostra che la Galleria
dell’Accademia organizzerà
a Maggio, li avrebbero ripresi per sempre.
L’unica soluzione - con le pochissime
risorse che avevamo e con il pochissimo
tempo, (semplicemente la burocrazia
rallenta i percorsi decisionali) –
era quella di esporli a Santa
Caterina. Ma non utilizzando
tutti gli spazi. Gli spazi a Santa Caterina
in questo momento sono per un terzo
occupati dai gessi e per due terzi sono
ancora liberi e c’è un
programma di esposizioni che comunque
abbiamo già cominciato a definire
che però, come dicevo prima non
può essere definito nel dettaglio
perché abbiamo quest’altra
spada di Damocle del taglio
al 20 % delle spese per le mostre,
cioè i famosi tremila euro che
dicevo prima.
Questo per quanto riguarda le antiche
stanze. Per quanto riguarda il Cassero
invece, la mia decisione di renderlo
la vetrina dell’archivio fotografico
toscano non è certamente in via
esclusiva, perché non sono una
persona rigida. Si è pensato
così perché il Cassero
è uno spazio molto particolare,
appendere le cose alle pareti non è
banale, ci sono condizioni micro-climatiche
o per il troppo caldo o per il troppo
freddo che non danno una garanzia per
un’esposizione tranquilla di opere
dal punto di vista pittorico. Dal punto
di vista della scultura, è un
corridoio, cosa ci si mette? Stiamo
lavorando alla ricerca di altri spazi,
non necessariamente di proprietà
del Comune, magari fondi sfitti del
centro che, in collaborazione con i
privati, possano in qualche modo rappresentare
una vetrina o un punto di riferimento
per artisti che giustamente sentono
l’esigenza di esporre le proprie
opere e che quindi può essere
uno spazio alternativo e complementare
a una parte delle Antiche Stanze di
Santa Caterina. Io non voglio fare concorrenza
alla Galleria dell’Accademia,
ci mancherebbe altro, ho solo difeso
i gessi perché se non avessi
fatto questo che è costato tanta
fatica e tanto impegno, noi i gessi
li perdevamo e non so se era una bella
cosa.
C’era
quell’altro spazio in piazza Mercatale
Il Chiesino di Sant’Ambrogio?
[Il chiesino di Sant’Ambrogio
era stata dal 5 aprile 2003 la sede
dei gessi di Lorenzo Bartolini, ndr]
Non si poteva utilizzare.
Non
era più agibile?
Ci sono da fare dei lavori
Palazzo
Pacchiani?
Anche lì ci sono dei problemi.
Palazzo Pacchiani in
questo momento è ristrutturato
solo in parte, la parte del piano terra
che è lo spazio riservato all’assessorato
all’Urbanistica e nel giro di
poche settimane vi verrà allestita
tutta la comunicazione riguardo al piano
strutturale. In quegli spazi ci saranno
le mostre di tutti i pannelli esplicativi
del piano strutturale e tutti gli incontri
organizzati per la partecipazione. Però
anche quello spazio ci verrà
tolto.
Anche
li ci sono delle lotte intestine all’interno?
Aspetta! Non c’è nessuna
lotta, se devo dire la verità,
se c’è una cosa che ci
salva è che andiamo tutti d’accordo
e ci aiutiamo, perché ci sentiamo
tutti nella solita barca che è
messa veramente malissimo per cui ci
si dà molto mano. Ho già
parlato con Gianni Cenni assessore
all’Urbanistica e quello
che vogliamo fare a Palazzo
Pacchiani: visto che si sta
appunto immaginando tutta la promozione
del piano strutturale della città
del futuro, usarlo anche come vetrina
del Pecci in centro storico. La collezione
permanente del Pecci finché il
Pecci non sarà raddoppiato è
lì a candire nei depositi.
Ritorniamo
sempre sul Pecci, però, il problema
nel contesto attuale è che sono
stati chiusi gli unici due spazi agibili
per eventuali mostre, per esposizioni…
Non sono stati chiusi, sono stati utilizzati
in altro modo
Sono
stati destinati diversamente, chiusi
no…
Le Antiche stanze di Santa Caterina,
faccio un esempio, la prossima primavera
dopo aver ospitato una mostra sull’unità
d’Italia, una mostra di Giovanni
Nuti, un artista pratese! Cioè,
ci saranno mostre, ha ospitato recentemente
una collettiva di artisti.
È
stata data comunicazione da parte dell’assessorato
che non ci sarebbero state più
mostre…
Abbiamo scritto a quindici artisti che
ci hanno chiesto le Antiche Stanze -
richieste che sono state fatte alla
commissione mostre - che, visti
i problemi di bilancio, il 20% e
vista la destinazione delle Antiche
Stanze, al momento la cosa non si potrà
fare. Questo è stato fatto. Non
è stato detto mai più
e mai poi! La lettera diceva che abbiamo
problemi di bilancio: con tremila euro
non vai lontano. Io poi volevo
fare le cose per l’unità
d’Italia, ovviamente,
e si è detto una parte degli
spazi è destinato al Santa Caterina.
Devo dire che tre di queste persone
mi hanno scritto dicendo: grazie almeno
che ci hai risposto perché in
altre situazioni noi abbiamo fatto la
richiesta e nessuno ci ha detto nulla.
Forse sono friulana quindi sono decisa.
Se una persona mi chiede una cosa preferisco
dire di no ed assumermene anche la responsabilità,
piuttosto che dire si, quando so che
è no!
La
cosa che lascia perplessi è stato
che comunque le spese di gestione, le
spese di amministrazione degli spazi
sarebbero rimaste uguali.
No, se non ci sono mostre le Antiche
stanze di Santa Caterina non costano
nulla.
Praticamente
dalla sua comunicazione appariva che
le spese non potevano essere sostenute
e si utilizzavano quegli spazi in altra
maniera.
No! C’erano due cose che andavano
in parallelo. Da una parte i gessi,
l’esigenza di metterli da qualche
parte, come abbiamo fatto (ma le spese
per i gessi le abbiamo sostenute nel
bilanci dell’anno scorso - la
mostra è stata fatta nel 2010);
dall’altra il fatto che per fare
una mostra devi pagare la sorveglianza,
l’allestimento - ed io ci ho tremila
euro in mano. Siccome questo problema
riguarda tutti i comuni, c’è
naturalmente una mobilitazione che è
bipartisan che fa capo all’ANCI,
si cerca di far cambiare il disposto
della legge. Si sperava che anche il
“decreto mille proroghe”
riuscisse a mettere una pezza a questa
norma che è rigidissima soprattutto
perché investe tutti nello stesso
modo. Se a Bagnara Calabra hanno speso
miliardi nelle mostre e il Comune di
Prato ne ha spesi così pochi,
non vedo perché il 20% debba
essere dello stesso peso, è evidente
che non è giusto fare di tutta
un’erba un fascio. Per cui io
ho speranza che, con le pressioni dell’ANCI
questa cosa venga corretta e che il
mio budget sia un po’ più
alto di tremila euro. Comunque i gessi,
finché non si apre il
Pretorio [sede del museo civico, ndr]
devono essere lasciati lì perché
se no ce li portano via, ma a Santa
Caterina qualche mostra si
farà, per esempio esporrà
Giovanni Nuti, poi Anna Sanesi,
per esempio, mentre per l’unità
d’Italia si farà una mostra
delle foto dell’archivio fotografico
del Comune di Prato - che è
un patrimonio veramente straordinario,
secondo me poco valorizzato fino adesso
nei confronti del grande pubblico, anche
se più conosciuto dagli addetti
ai lavori. Sarà una mostra
sulle vecchie macchine fotografiche
e le foto della Prato dei 150 anni,
poi ci sarà appunto la mostra
di Giovanni Nuti: si tratta di un work
in progress perché io sono abituata
a impaccare le cose quando so che le
posso finanziare, al momento io so che
ho tremila euro, spero che tra qualche
settimana le cose cambino, però
attualmente mi devo muovere sulla base
che ho detto.
Malgrado
i tagli di bilancio, non sarebbe
possibile fare in modo che il Comune
e l’Assessorato partecipino più
che contribuendo alle spese, adoperandosi
con la sua organizzazione, il suo prestigio
e autorevolezza istituzionale a far
confluire risorse, promuovendo a costo
zero attività culturali?
È
quello che facciamo tutti i giorni,
il problema è che a Prato la
cultura è fondamentalmente il
Comune. Gli industriali, come
sapete, usciranno dal Museo del Tessuto,
anche loro dicono che non hanno risorse.
La Provincia fa il
suo, ma per esempio al Pecci
non contribuisce. È difficile
trovare da parte dei privati la voglia,
la disponibilità, le risorse
per partecipare alla cultura. Io credo
che se ci fossero dei provvedimenti
di sgravio fiscale per chi investe in
cultura sarebbe molto più semplice,
però al momento non ci sono,
così come sarebbe opportuno che
ai Comuni non fosse richiesto il pagamento
dell’IVA. Il 20% di IVA con pochi
soldi, voi capite che è tanta
roba. Quello che si cerca di fare quotidianamente
sono le brochure e le comunicazioni
che faccio io nei fine settimana, i
testi dei depliant li scrivo io per
non pagare qualcuno, i comunicati stampa
li scrivo io, è il mio mestiere,
sono giornalista. Ma faccio per dire,
qui non c’è un euro che
non sia valutato per come viene speso.
Lo sforzo che ho fatto in questo anno
è di mettere il più possibile
in contatto, in sinergia tutti gli enti
di cultura in modo tale che si diminuisce
il problema della mancanza di fondi.
La “Camerata Strumentale”
che partecipa alla “Prato estate”,
il Museo del Tessuto che collabora
col Pecci, il Metastasio che ha contatti
con la Camerata, insomma si
cerca il più possibile di mettere
in collegamento delle entità
che prima avevano sempre fatto e vissuto
di vita propria. Per il cinema, sto
cercando di dare una mano alle sale
del centro, ho fatto io la comunicazione
per loro con il pieghevole “il
cinema in tasca”, perché
penso questo: in un momento di vacche
magre come questo è importante
agire sulla comunicazione per arrivare
alle persone. Questo assessorato
non aveva una newsletter che io ho voluto
fermamente e che oggi ha più
di ottomila contatti: non si spedisce
più nulla e non si stampa quasi
più nulla ed è un risparmio
e nello stesso tempo hai una comunicazione
molto più efficace, molto più
tempestiva e molto più flessibile.
È chiaro ci saranno le signore
anziane che magari non vanno su internet,
allora si continuerà a fare una
comunicazione di tipo tradizionale,
ma ai ragazzi no! Certo i tempi non
sono belli, però se hai la voglia
di fare e la fiducia di combattere si
può far qualcosa di buono cercando
un equilibrio tra la qualità,
l’accessibilità del vasto
pubblico, la sostenibilità
economica e aggiungo il coinvolgimento
delle realtà pratesi.
Che
futuro ha il Pecci in questa situazione?
Per il Pecci la sfida è
diventare il Rivoli del centro Italia,
ma se tu vai a vedere il Rivoli, intanto
scopri che ha un budget che è
il triplo di quello del Pecci. Ma cosa
scopri anche? Che dietro al museo di
Rivoli ci sono: la Regione Piemonte,
la Provincia di Torino, ovviamente
il Comune di Torino, l’Unicredit,
la Camere di Commercio e credo forse
anche Banca Intesa… non me lo
ricordo. Dietro il Pecci c’è:
la famiglia Pecci, il Comune per la
maggior parte e la Regione
che attraverso il Monte dei Paschi ha
assicurato dei finanziamenti che però
non sono strutturali e quindi si devono
sempre rincorrere. C’è
bisogno - proprio perché il
Pecci anche nel testo unico
che la Regione ha approvato sulla cultura
nei mesi scorsi, è riconosciuto
come museo regionale dell’arte
contemporanea - che la Regione
assuma il ruolo di socio. È certo
che il Pecci può vivere e può
vivere bene una volta raddoppiato, solo
se riesce ad avere non solo dal Comune,
ma minimo dalla Regione (mi augurerei
anche dalla Provincia) una compagine
sociale di riferimento, perché
quando un milione e mezzo serve solo
a pagare stipendi e utenze, è
evidente che l’attività
espositiva la fai o non la fai o la
fai ridotta ai minimi termini ed è
veramente un peccato! Però I
soldi sono questi. Né si può
immaginare che l’intero budget
dell’Assessorato alla Cultura
serva a sostenere il Pecci ed il Metastasio
perché non sarebbe giusto. Già
oggi, parlo del 2010, l’ottanta
percento del budget del servizio cultura
nei trasferimenti ad enti terzi,
il Pecci ed il Metastasio rappresentano
la parte del leone. Quindi questa è
la situazione. Mi rendo conto che non
è bella, però io non mi
arrendo.
Ad
ogni numero la nostra rivista “Scheda”
presenta un tema ed in questo numero
il tema sarà rivolto all’anniversario
dell’unità d’Italia.
Cosa intende fare l’Assessorato
alla Cultura per celebrare questo anniversario?
Naturalmente anche le iniziative dell’Assessorato
alla Cultura rientrano nel programma
che altri enti locali e altre istituzioni
culturali stanno mettendo a punto, tutti
con le solite difficoltà di budget
e di non conoscenza ancora dei tagli
che saranno effettuati, e con il coordinamento
della Prefettura. Comunque, siccome
tra gli indirizzi che ci sono venuti
da Roma, c’è quello di
organizzare la notte tricolore
che sarebbe tra il 16 ed il 17 di marzo,
non può essere una notte bianca
perché non è il 16 di
luglio, quindi costringere la gente
all’aperto mi sembra una crudeltà.
L’idea che ho avuto è quella
di organizzare al Metastasio
una serata all’insegna della musica
del Risorgimento, quindi in
particolare Verdi e coinvolgere in questo
spettacolo il comitato e le attività
musicali cittadine che come
sapete riunisce le bande e le corali
della città. Uno spettacolo
popolare sì, ma sicuramente
dignitoso e di qualità che ovviamente
sarà ad ingresso gratuito e si
concluderà poco prima della mezzanotte
con il nostro inno che verrà
suonato al Metastasio e poi un brindisi
finale che sarà un modo di aspettare
il compleanno d’Italia, pensando
che in fondo, a volte è l’inno
d’Italia che ci fa riscaldare
i cuori. Sono nata in Friuli, terra
irredenta e ho dei ricordi bellissimi
del 4 novembre di quando ero bambina,
tutti con i fiocchettini bianchi, rossi
e verdi. I miei nonni hanno fatto la
guerra, ecco, l’inno d’Italia
non sarà bellissimo però
credo che non può non smuovere
le emozioni. Devo dire che Ciampi ha
fatto una cosa bellissima: riportare
l’orgoglio di suonare il nostro
inno e quindi forse anche perché
per me la musica parla più facilmente
di qualsiasi altra cosa al cuore di
tutti, ho pensato che il modo migliore
di trascorrere questa serata fosse appunto
all’insegna della musica popolare.
Poi, naturalmente, il giorno dopo ci
saranno altre iniziative. Abbiamo in
mente di organizzare tre piccolissime
mostre però spero significative:
nella Saletta Valentini
con alcuni cimeli della vecchia
collezione del Museo Risorgimento
che era ospitata a Palazzo Pretorio
e che ovviamente adesso non è
più disponibile e un’altra
nella biblioteca Lazzerini.
Ho dato questo spunto a Franco Neri
[direttore della biblioteca, ndr] di
individuare una serie di titoli attraverso
i quali si può ripercorrere la
storia d’Italia. Libri che magari
i ragazzi non conoscono ma che sono
capolavori. Faccio un esempio per tutti
“I Vicerè”
che è veramente un romanzo
strepitoso che a scuola più di
tanto non te lo insegnano. Magari ti
fanno leggere “La Vergine Cuccia”
del Parini e quando arrivi a fare la
storia della letteratura un po’
più recente, non si sa perché
De Roberto non ha un seguito mentre
secondo me è un genio! Quel libro
è meraviglioso. Parlo delle “Mie
Prigioni” di Silvio Pellico,
ma non solo i libri strettamente legati
agli anni del Risorgimento, anche quelli
– il percorso lo sta studiando
Franco Neri con Stefano Franceschini
– ti possono dare un fil rouge
letterario per raccontare questi 150
anni. La terza mostra invece sarà,
come dicevo prima, nelle Antiche
Stanze. Saranno le
immagini della città e le macchine
fotografiche che secondo me
possono essere anche queste di richiamo
perché l’importante è
festeggiare questi 150 anni non in maniera
troppo istituzionale, ma con le poche
risorse che ci sono, creare comunque
occasioni per accendere la curiosità
per quello che è successo, specie
per i ragazzi e per risvegliare un po’
di orgoglio. Dobbiamo essere orgogliosi
di essere italiani, nonostante tutto.
Poi ci sarà un programma nutrito
di visite guidate che saranno
organizzate nei luoghi legati al Risorgimento
e in collaborazione con l’Università
del Tempo Libero – gli
eroici gestori dell’Università
del Tempo Libero, penso a Valeria Tempestini,
tanto per fare un nome – l’Assessorato
alla Cultura ha finanziato un ciclo
di lezioni sul Risorgimento
a Prato che ovviamente sono
rivolte agli utenti dell’Università
del Tempo Libero, ma possono benissimo
essere interessanti anche per i ragazzi
e per chiunque abbia voglia di riscoprire
un pezzo di storia della nostra città.
Non è finita, ci sarà
poi, però questa è una
cosa che è ancora in via di definizione
in collaborazione con l’Assessorato
alla Pubblica Istruzione - la mia amica
Rita Pieri con cui si lavora molto insieme
perché la cultura nasce a scuola
– una simpatica caccia al tesoro
in centro storico per i ragazzi di terza
media che sono quelli che nel programma
scolastico affrontano i temi
del Risorgimento. Per ora è
questo il programma, se poi nel corso
dell’anno ci saranno più
risorse volentieri faremo anche altre
cose. Ci saranno inoltre, sempre in
biblioteca, delle conferenze specifiche:
una sul linguaggio, su come è
cambiata la lingua, altre lezioni organizzate
in collaborazione con le associazioni
sulle figure risorgimentali pratesi
a cominciare da Pier Cironi. Il concerto,
che ormai è diventato una tradizione
del 7 di settembre in Piazza del Duomo
con la Camerata, sarà all’insegna
della musica risorgimentale e in particolare
di Verdi. Un’ultima cosa, il 17
è un giovedì [giorno in
cui si riunisce il consiglio comunale,
ndr] e quindi ho parlato con il presidente
del consiglio comunale Bettazzi, sarà
una seduta aperta dall’inno d’Italia
suonato da una banda.
Anche
perché Prato è una città
che ha già creato l’unità
tra i popoli diversa da tutte le altre
città d’Italia e per questo
è la più rappresentativa.
Sicuramente. Da questo punto di vista
io non sono nata a Prato come credo
si senta dall’accento.
Nessuno
di noi.
Nessuno di noi e siamo in tre! Però,
appunto voglio molto bene a questa città
nella quale vivo ormai da 15 anni perché
io mi sono sentita pratese e a casa
fin dal primo giorno. Di città
ne ho cambiate molte per motivi di lavoro
e devo dire che l’accoglienza
che ho sentito a Prato non l’ho
sentita da nessun’altra parte.
Sicuramente nelle corde dei pratesi
c’è una grande capacità
di accoglienza. Aggiungo però
che l’accoglienza è un
valore inestimabile così come
deve essere affiancata da un altro valore
che è quello del rispetto delle
regole, perché questo va da se
le due cose devono camminare insieme,
altrimenti uno smette anche di sentirsi
accogliente. Penso che comunque, se
le due cose riescono ad andare di pari
passo, nonostante tutte le difficoltà,
questa città può tornare
ad essere la città straordinaria
che è stata. Adesso è
un pochino ripiegata su se stessa, ma
la capacità di accogliere è
anche la capacità di ascoltare
e anche capacità di guardare
oltre se stessi e quindi di per sé
è un gradissimo valore.
Ignazio Fresu
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