di Ignazio Fresu
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Conversazione
fra Ignazio Fresu e Riccardo Farinelli
sul
Centro di Arte Contemporanea L. Pecci
e sulle sue ricadute
Ciao
Riccardo, tu sei stato uno degli operatori
che ha cooperato alla fondazione del
Centro per l’Arte Contemporanea
Luigi Pecci. Hai contribuito alla sua
nascita e tuttora svolgi in campo didattico
un’intensa e peculiare attività
divulgativa rivolgendoti ad un’ampia
utenza che va dalla prima infanzia agli
adulti, dalle scuole alle famiglie,
dagli alunni agli insegnanti. Dopo questo
periodo di oltre 20 anni come sintetizzeresti
l’operato complessivo del Centro?
A questa domanda si può rispondere
solo ricordando cosa ci si aspettava
dal Pecci al momento della sua nascita
e guardare alla sua collocazione attuale,
a tutte le problematiche che allora
non potevano essere messe a fuoco e
conosciute. Le stesse professionalità
interne, la mia compresa, pur partendo
da conoscenze acquisite hanno dovuto
impattare nel tempo con la realtà
di un Centro come questo. Dobbiamo ricordare
che quando è nato era una novità,
non solo in Toscana ma anche in Italia
dove l’unica realtà similare
del tempo era Rivoli, mancavano quindi
dei riferimenti a cui rifarsi. Questa
mancanza di sostrato, questa sperimentalità
ha fatto sì che il Pecci sia
ancora oggi proteiforme, nel senso che
non ha preso un assetto definitivo.
Diciamo che è in formazione.
Il suo percorsom dal mio punto di vista
è stato un successo. L’azione
che siamo riusciti a costruire intorno
all’arte contemporanea rivolta
alle persone, francamente, direi che
è stato un successo.
Come
valuti, dal tuo punto di osservazione
privilegiato, la penetrazione nel territorio
limitrofo del Centro per l’Arte
Contemporanea? E come, nel contesto
internazionale?
Ho sempre creduto nella politica dei
cerchi concentrici. I cerchi diventano
concentrici e si allargano se il sasso
viene lanciato ed è pesante a
sufficienza da generare tanti altri
cerchi che si allargano verso l’esterno.
Se il sasso non è abbastanza
pesante, oppure se si tratta non di
uno ma di tanti sassolini, i segnali
arrivano confusi. Da questo punto di
vista l’azione che questo Centro
ha svolto verso l’esterno, è
paragonabile al lancio di tanti sassolini
e questo può aver contribuito
a far sì che l’azione non
fosse incisiva quanto avrebbe potuto
essere. D’altronde un Centro come
questo si scontra con tanti tipi di
problemi. In primo luogo le stereotipie
intorno all’arte ed in particolare
all’arte contemporanea. In effetti
da una parte c’è un pubblico
‘generico’, dall’altra
ci sono gli ‘specialisti’
- volendo chiamare specialisti o semi
specialisti o futuri specialisti, anche
gli studenti delle accademie e dei licei
artistici. Bene, le resistenze più
feroci all’arte contemporanea
arrivano proprio da lì. Quelli
che dovrebbero essere gli artisti contemporanei
di domani: figurati il resto! Oltre
a questo tipo di difficoltà ambientale,
c’è poi la specificità
dell’arte contemporanea stessa:
lavorare sull’arte contemporanea
significa entrare in contatto con gli
artisti ed il loro lavoro, ma anche
con i galleristi ed i critici. Questo
mondo variopinto e vario che tira da
direzioni differenti, bisogna ricondurlo
ogni volta a sintesi, ed è cosa
davvero laboriosa. Infine c’è
lo sforzo del rapporto con gli altri
istituti. Personalmente auspico da sempre
che gli istituti, almeno quelli similari,
i vari centri per l’arte contemporanea,
ma in generale tutti i musei, si scambino
informazioni costanti e continue senza
ostilità territoriali che francamente
mi sembrano sterili. A maggior ragione
in un territorio come Prato con un’utenza
di qualche centinaia di migliaia di
persone che poi nei fatti si riduce
a poche migliaia.
Lavorando
direttamente a stretto contatto con
le persone invece che esclusivamente
con agenzie o specialisti del settore,
come consideri l’impatto che l’arte
contemporanea ha sulla cittadinanza
a seguito delle scelte sempre più
“brand” che il centro, già
dalle sue prime manifestazioni, sembra
avere avuto e ancora esercita?
Questo è un degli snodi più
grossi per chi lavora in un Centro d’arte
contemporanea il quale, non essendo
una galleria d’arte, ha la vocazione
di rivolgersi a un vasto pubblico e
deve quindi mettere in contatto questo
pubblico con questa arte, due mondi
apparentemente molto distanti,
Il nostro primo direttore già
dalla mostra di esordio andò
i questa direzione. In effetti le scelte
del direttore di un centro per l’arte
contemporanea sono una cosa assolutamente
diversa da quelle di un museo storico.
Questo non ha una pari esposizione esterna
che lo mette in condizione e non è
preso di mira come accade per il direttore
di un centro di arte contemporanea.
Mentre il primo può trattare
un secentista minore sul mercato internazionale
andando in giro fra le collezioni per
vedere se riesce ad acquisire per il
suo museo un pezzo che definisca meglio
una catena storica di una certa sala
del suo museo, il direttore di un centro
per l’arte contemporanea è
costretto a fare delle scelte che lo
rendono simile ad un gallerista. Il
gallerista sceglie gli artisti che ritiene
più interessanti e più
remunerativi. È vero che Il suo
lavoro non tratta direttamente il mercato
dell’arte, ma è anche vero
che non lo può ignorare, sarebbe
sciocco, nel senso che c’è
dentro, è intorno a lui. Nel
momento in cui un direttore fa una scelta
ponderata, pensata, coerente e quindi
decide per questo o l’altro artista
scattano automaticamente una serie di
meccanismi inevitabili ma è ciò
che succede se vuoi lavorare con gli
artisti contemporanei anche se, nello
stesso tempo, il direttore non può
dimenticare la vocazione dell’ente
che dirige e che è quella di
informare, per cui deve tener ferma
la sua missione fondamentale che non
è certo quella il vendere il
pezzo.
musei internazionali
sono sempre più coinvolti nella
brandizzazione dell’arte contemporanea,
degli artisti e di se stessi.
In questo clima la vocazione di un museo
come il Pecci si distingue da tali musei
adempiendo alla sua funzione istituzionale
pubblica per l’arte? E come vedi
in questo contesto la partecipazione
della Regione Toscana?
Sulla questione della partecipazione
della Regione Toscana devo tornare indietro
nel tempo, alle origini di questo Centro,
quando se ne discuteva e ancora non
c’era. Fra le missioni che avrebbe
dovuto svolgere, una era quella non
solo di avvicinare all’arte contemporanea,
ma attraverso questa, mettere in contatto
con la realtà contemporanea complessiva.
Si pensava che un centro come questo
potesse dare un contributo da questo
punto di vista, anche se non definitivo,
aiutare, se è vero, ed io personalmente
ne sono convinto, che l’arte di
qualunque tempo sia, non è che
nasce e si sviluppa in un contenitore
fregandosene del mondo intorno. Non
è mai stato così. Se quindi
è vero che l’arte è
un po’ uno specchio visibile di
quello che c’è, attraverso
l’arte posso aiutare me stesso
a capire un po’ meglio le dinamiche
che mi girano intorno e che si fanno
sempre più complesse. La realtà
che viviamo è molto più
complessa rispetto a quella dei miei
nonni, sicuramente, se non altro perché
si dice che le informazioni siano democratizzate,
nel senso che sono molte di più
e più accessibili. In realtà
stiamo ottenendo l’effetto contrario.
Questo bombardamento, “tempestazione”,
se si potesse dire, di informazione
a tutti i livelli, alla fine crea uno
stordimento tale che non è più
possibile stargli dietro così
che ogni cittadino ha questo grande
compito verso se stesso: farsi carico
delle proprie scelte senza delegare
più di tanto, bisogna fare questo
grosso lavoro, quello della selezione
delle informazioni. L’altro bisogno
è quello di confrontarsi con
gli altri anche se le occasioni per
farlo sono sempre meno. Cosa molto preoccupante
in una società complessa come
questa. Non si tratta di una carenza
che appartiene solo a una certa parte
politica, in realtà un germe
cresce dove trova coltura, altrimenti
muore. Nel bene o nel male anch’io
sono stato un artista anche se ora faccio
altro, mi è restata però
questo tipo di sensibilità, quella
di affidarmi a me stesso, si tratta
di un’abitudine, una disciplina
che gli artisti frequentano anche quando
non sembra e sarebbe auspicabile che
fosse un po’ più diffusa.
Tornando alla Regione Toscana ci troviamo
di fronte a questo tipo di problema:
come si sta dentro il ‘contemporaneo’
inteso non limitatamente all’arte
contemporanea, ma inteso come ciò
che accade adesso? Se la Regione ha
un’attenzione verso i Centri dell’arte
contemporanea, penso li abbia in questa
prospettiva, in questa visione. Uno
dei tanti contributi che possono essere
dati per comprendere meglio la realtà
che cresce giorno per giorno.
È ormai
prassi che i musei concedano, ai galleristi
che rappresentano un certo artista,
di partecipare ai costi organizzativi
di una eventuale mostra dell’artista
in questione. Emerge come i criteri
di selezione siano così poco
rigorosi da poter essere condizionati
da fattori estranei. Questa consuetudine
viene giustificata dai musei, ritenendo
inconcepibile per enti dal budget limitato
non accettare il sostegno economico
in qualità di partner dai galleristi
di brand molto danarosi. Il Centro per
l’Arte Contemporanea Luigi Pecci
come si pone nei confronti di questa
pratica?
Questa è una domanda alla quale
forse potrebbe rispondere meglio il
direttore artistico. Comunque, anche
qui, ci troviamo all’interno di
contraddizione della quale già
ampiamente ho accennato, nel senso:
c’è un ideale a cui tendere
- ovvero quello di poter svolgere in
piena autonomia la funzione propria
di un Centro per l’arte contemporanea
- e c’è il fatto che non
si è indipendenti economicamente
al cento per cento. Se il Centro lo
fosse, potrebbe fare tutte le scelte
che vuole, anche se in queste sue scelte
non potrebbe – di nuovo - ignorare
quel che accade nel mondo dell’arte
contemporanea: ciò che emerge,
ciò che si evolve, fra gli artisti
in carne ed ossa e che devono pur esser
considerati se si vuol fotografare la
situazione. Se poi vuole fare le sue
scelte “a prescindere” può
farlo ma in tal caso, forse, non svolgerebbe
bene la sua funzione. Se tale funzione
invece, vuole svolgerla al meglio deve
impattare con tutte le realtà
di cui si è detto e con le quali
non può evitare di entrare in
una contraddizione necessaria. Comunque,
in linea generale, se la “borsa”
del Centro che il direttore artistico
può gestire autonomamente, è
grande, maggiore è la sua libertà
d’azione. Realisticamente, come
si può affrontare la situazione?
Con le conoscenze, in senso buono del
termine, intendiamo. E’ uno dei
compiti del direttore artistico, quello
di tenere contatti capillari con tutta
una serie di persone che lo possano
indurre a una selezione e avviare procedure
che possano aiutarlo nel tipo di scelte
che ha deciso autonomamente. Tenere
una serie di contatti è fondamentale.
Ma ecco che anche qui sorge un nuovo
problema: può un direttore fare
questo, ha il tempo di poterlo fare
fino in fondo? Secondo me no! Almeno
non qui al Centro Pecci, dove il direttore
artistico è considerato il “mega
manager “, il coordinatore magno
di tutto l’assetto del Centro
per l’arte contemporanea, cn tutti
i suoi vari comparti di lavoro che non
sono limitati alla sola organizzazione
delle mostre. Si tratta di mettere insieme
progetti, azioni, persone, preparare
pubblicazioni determinate e in un certo
modo, acquisire libri, eccetera. Tutte
queste cose hanno nel direttore artistico
la sintesi finale: è lui che
decide tutto questo. Per poterlo fare
in modo attivo e positivo, non può
starsene a Parigi trecentosessantacinque
giorni l’anno: se è qua
non è là. Dovrà
arrivare a una sorta di dosaggio delle
sue attività: andare in giro
a vedere, cercare, trovare, tenere i
contatti; vedere cosa succede nel resto
del mondo, infilarsi in altri centri
come questo, nelle gallerie che tirano
di più, vedere cosa si muove,
e nello stesso tempo essere il dirigente
più alto in grado all’interno
di un assetto organizzativo che non
decide quasi nulla se non ha il suo
nullaosta. Su questa doppia faccia del
lavoro di un direttore è importante
rifletterci sopra. Ad esempio, i nostri
primissimi direttori non amavano molto
questo lavoro organizzativo interno
e solo con gli ultimi direttori, pur
nei limiti intuibili, la situazione
è cambiata ed i rapporti sono
diventati più frequenti.
C’è
un rapporto con tutta l’organizzazione
più diretto da parte dei direttori.
Si, anche questo è richiesto
dal nostro Consiglio, cioè che
il direttore sia presente all’interno
della struttura.
Poi,
magari dopo l’esperienza di Daniel
Soutif è ancora più evidente.
Si, secondo me, nonostante non sia molto
amato Soutif, per tante ragioni che
adesso è lungo spiegare, almeno
un merito gli va ricnosciuto, quello
di focalizzare molto l’attenzione
sull’organizzazione, in modo tipicamente
francese
ordinateur…
Francamente una buona organizzazione
significa risparmio di tempo, di energie,
dopo tutto consente un’ottimizzazione.
Un
ultima domanda sulla didattica: come
si svolgerà nei mesi e negli
anni prossimi la sezione che ti riguarda
direttamente?
lo sviluppo è su due fronti,
da una parte un’attenzione al
pubblico nella sua accezione più
larga con molta più attenzione
ai target, con progetti sempre più
mirati; dall’altro, le collaborazioni.
Sono cose che abbiamo sempre fatto ma
che stiamo affinando e potenziando.
Ad esempio per quanto riguarda le collaborazioni,
siamo da sempre alla ricerca di progetti
da condividere con altre istituzioni(musei,
associazioni…). Devo dire che
noi ci siamo mossi, abbiamo fatto delle
cose, dei progetti e francamente mi
aspettavo nel tempo che un’idea,
un progetto, una proposta venisse anche
verso di noi. Ecco in vent’anni
nn è mai successo. Né
dai Musei Civici di Prato, né
Musei Diocesani, né dalla Galleria
Alberti. Da parte nostra svolgiamo,
in collaborazione con la Regione, una
serie di progetti sperimentali coinvolgendo
strutture e musei dove il Centro Pecci
non aspetta il pubblico ma va dal pubblico.
per chiudere,
ci dai qualche informazione sulla nuova
ristrutturazione, tempi, prospettive,
speranze…
Farci degli auguri… da tempo ormai
si annuncia questa operazione che adesso
sta effettivamente partendo. Se si sta
nei tempi previsti dovrebbe completarsi
alla fine del 2011. Il Centro raddoppierà
i propri spazi, sarà più
accogliente ed alle mostre temporanee
si affiancherà lo spazio per
l’esposizione della collezione
permanente per documentare i percorsi
del Centro sin alla sua nascita.
ancora una domanda
rapidissima, nel periodo dei lavori
di ristrutturazione, il museo continuerà
la sua attività?
Tutto quello che è possibile
tenere in piedi lo terremo, anche le
stesse sale saranno aperte finché
sarà possibile. Nonostante il
cantiere, manterremo attive le mostre
e sicuramente una delle sezioni che
sarà ultima a fermarsi e, auspicabilmente,
a non fermarsi proprio, è la
mia, perché lavorando più
con il pubblico che con le mostre; non
aspettando che il pubblico venga, ma
essendo noi ad andare dal pubblico,
nelle classi, raccogliendo anche le
istanze delle scuole che hanno sempre
meno soldi da spendere e sempre meno
possibilità di movimento, possiamo
fare tutta una serie di cose che riteniamo
di far bene lo stesso fuori dal centro.
Ignazio
Fresu
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