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ANGELI SENZA ALI Alfonso e
Nicola Vaccari
Jacopo Valenzia
è un pittore.
Un giovane pittore.
Angeli senza ali racconta il duro percorso che dovrà compiere verso l’’affermazione
professionale
ed il successo
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Mattia Moreni
"il Percorso interrotto" Ultimo decennio
(1985-1998)
La mostra di Cervia nella location dei Magazzini del Sale, dedicata all'ultimo periodo artistico
di Mattia Moreni
 
ARTE E OMOSESSUALITA'
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>ARTICOLI
UN MUSEO PROTEIFORME,
UNA SOCIETÀ INFORME


di Ignazio Fresu
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Conversazione fra Ignazio Fresu e Riccardo Farinelli sul
Centro di Arte Contemporanea L. Pecci e sulle sue ricadute

Ciao Riccardo, tu sei stato uno degli operatori che ha cooperato alla fondazione del Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci. Hai contribuito alla sua nascita e tuttora svolgi in campo didattico un’intensa e peculiare attività divulgativa rivolgendoti ad un’ampia utenza che va dalla prima infanzia agli adulti, dalle scuole alle famiglie, dagli alunni agli insegnanti. Dopo questo periodo di oltre 20 anni come sintetizzeresti l’operato complessivo del Centro?

A questa domanda si può rispondere solo ricordando cosa ci si aspettava dal Pecci al momento della sua nascita e guardare alla sua collocazione attuale, a tutte le problematiche che allora non potevano essere messe a fuoco e conosciute. Le stesse professionalità interne, la mia compresa, pur partendo da conoscenze acquisite hanno dovuto impattare nel tempo con la realtà di un Centro come questo. Dobbiamo ricordare che quando è nato era una novità, non solo in Toscana ma anche in Italia dove l’unica realtà similare del tempo era Rivoli, mancavano quindi dei riferimenti a cui rifarsi. Questa mancanza di sostrato, questa sperimentalità ha fatto sì che il Pecci sia ancora oggi proteiforme, nel senso che non ha preso un assetto definitivo. Diciamo che è in formazione. Il suo percorsom dal mio punto di vista è stato un successo. L’azione che siamo riusciti a costruire intorno all’arte contemporanea rivolta alle persone, francamente, direi che è stato un successo.

Come valuti, dal tuo punto di osservazione privilegiato, la penetrazione nel territorio limitrofo del Centro per l’Arte Contemporanea? E come, nel contesto internazionale?

Ho sempre creduto nella politica dei cerchi concentrici. I cerchi diventano concentrici e si allargano se il sasso viene lanciato ed è pesante a sufficienza da generare tanti altri cerchi che si allargano verso l’esterno. Se il sasso non è abbastanza pesante, oppure se si tratta non di uno ma di tanti sassolini, i segnali arrivano confusi. Da questo punto di vista l’azione che questo Centro ha svolto verso l’esterno, è paragonabile al lancio di tanti sassolini e questo può aver contribuito a far sì che l’azione non fosse incisiva quanto avrebbe potuto essere. D’altronde un Centro come questo si scontra con tanti tipi di problemi. In primo luogo le stereotipie intorno all’arte ed in particolare all’arte contemporanea. In effetti da una parte c’è un pubblico ‘generico’, dall’altra ci sono gli ‘specialisti’ - volendo chiamare specialisti o semi specialisti o futuri specialisti, anche gli studenti delle accademie e dei licei artistici. Bene, le resistenze più feroci all’arte contemporanea arrivano proprio da lì. Quelli che dovrebbero essere gli artisti contemporanei di domani: figurati il resto! Oltre a questo tipo di difficoltà ambientale, c’è poi la specificità dell’arte contemporanea stessa: lavorare sull’arte contemporanea significa entrare in contatto con gli artisti ed il loro lavoro, ma anche con i galleristi ed i critici. Questo mondo variopinto e vario che tira da direzioni differenti, bisogna ricondurlo ogni volta a sintesi, ed è cosa davvero laboriosa. Infine c’è lo sforzo del rapporto con gli altri istituti. Personalmente auspico da sempre che gli istituti, almeno quelli similari, i vari centri per l’arte contemporanea, ma in generale tutti i musei, si scambino informazioni costanti e continue senza ostilità territoriali che francamente mi sembrano sterili. A maggior ragione in un territorio come Prato con un’utenza di qualche centinaia di migliaia di persone che poi nei fatti si riduce a poche migliaia.

Lavorando direttamente a stretto contatto con le persone invece che esclusivamente con agenzie o specialisti del settore, come consideri l’impatto che l’arte contemporanea ha sulla cittadinanza a seguito delle scelte sempre più “brand” che il centro, già dalle sue prime manifestazioni, sembra avere avuto e ancora esercita?

Questo è un degli snodi più grossi per chi lavora in un Centro d’arte contemporanea il quale, non essendo una galleria d’arte, ha la vocazione di rivolgersi a un vasto pubblico e deve quindi mettere in contatto questo pubblico con questa arte, due mondi apparentemente molto distanti,
Il nostro primo direttore già dalla mostra di esordio andò i questa direzione. In effetti le scelte del direttore di un centro per l’arte contemporanea sono una cosa assolutamente diversa da quelle di un museo storico. Questo non ha una pari esposizione esterna che lo mette in condizione e non è preso di mira come accade per il direttore di un centro di arte contemporanea. Mentre il primo può trattare un secentista minore sul mercato internazionale andando in giro fra le collezioni per vedere se riesce ad acquisire per il suo museo un pezzo che definisca meglio una catena storica di una certa sala del suo museo, il direttore di un centro per l’arte contemporanea è costretto a fare delle scelte che lo rendono simile ad un gallerista. Il gallerista sceglie gli artisti che ritiene più interessanti e più remunerativi. È vero che Il suo lavoro non tratta direttamente il mercato dell’arte, ma è anche vero che non lo può ignorare, sarebbe sciocco, nel senso che c’è dentro, è intorno a lui. Nel momento in cui un direttore fa una scelta ponderata, pensata, coerente e quindi decide per questo o l’altro artista scattano automaticamente una serie di meccanismi inevitabili ma è ciò che succede se vuoi lavorare con gli artisti contemporanei anche se, nello stesso tempo, il direttore non può dimenticare la vocazione dell’ente che dirige e che è quella di informare, per cui deve tener ferma la sua missione fondamentale che non è certo quella il vendere il pezzo.

musei internazionali sono sempre più coinvolti nella brandizzazione dell’arte contemporanea, degli artisti e di se stessi.
In questo clima la vocazione di un museo come il Pecci si distingue da tali musei adempiendo alla sua funzione istituzionale pubblica per l’arte? E come vedi in questo contesto la partecipazione della Regione Toscana?


Sulla questione della partecipazione della Regione Toscana devo tornare indietro nel tempo, alle origini di questo Centro, quando se ne discuteva e ancora non c’era. Fra le missioni che avrebbe dovuto svolgere, una era quella non solo di avvicinare all’arte contemporanea, ma attraverso questa, mettere in contatto con la realtà contemporanea complessiva. Si pensava che un centro come questo potesse dare un contributo da questo punto di vista, anche se non definitivo, aiutare, se è vero, ed io personalmente ne sono convinto, che l’arte di qualunque tempo sia, non è che nasce e si sviluppa in un contenitore fregandosene del mondo intorno. Non è mai stato così. Se quindi è vero che l’arte è un po’ uno specchio visibile di quello che c’è, attraverso l’arte posso aiutare me stesso a capire un po’ meglio le dinamiche che mi girano intorno e che si fanno sempre più complesse. La realtà che viviamo è molto più complessa rispetto a quella dei miei nonni, sicuramente, se non altro perché si dice che le informazioni siano democratizzate, nel senso che sono molte di più e più accessibili. In realtà stiamo ottenendo l’effetto contrario. Questo bombardamento, “tempestazione”, se si potesse dire, di informazione a tutti i livelli, alla fine crea uno stordimento tale che non è più possibile stargli dietro così che ogni cittadino ha questo grande compito verso se stesso: farsi carico delle proprie scelte senza delegare più di tanto, bisogna fare questo grosso lavoro, quello della selezione delle informazioni. L’altro bisogno è quello di confrontarsi con gli altri anche se le occasioni per farlo sono sempre meno. Cosa molto preoccupante in una società complessa come questa. Non si tratta di una carenza che appartiene solo a una certa parte politica, in realtà un germe cresce dove trova coltura, altrimenti muore. Nel bene o nel male anch’io sono stato un artista anche se ora faccio altro, mi è restata però questo tipo di sensibilità, quella di affidarmi a me stesso, si tratta di un’abitudine, una disciplina che gli artisti frequentano anche quando non sembra e sarebbe auspicabile che fosse un po’ più diffusa. Tornando alla Regione Toscana ci troviamo di fronte a questo tipo di problema: come si sta dentro il ‘contemporaneo’ inteso non limitatamente all’arte contemporanea, ma inteso come ciò che accade adesso? Se la Regione ha un’attenzione verso i Centri dell’arte contemporanea, penso li abbia in questa prospettiva, in questa visione. Uno dei tanti contributi che possono essere dati per comprendere meglio la realtà che cresce giorno per giorno.

È ormai prassi che i musei concedano, ai galleristi che rappresentano un certo artista, di partecipare ai costi organizzativi di una eventuale mostra dell’artista in questione. Emerge come i criteri di selezione siano così poco rigorosi da poter essere condizionati da fattori estranei. Questa consuetudine viene giustificata dai musei, ritenendo inconcepibile per enti dal budget limitato non accettare il sostegno economico in qualità di partner dai galleristi di brand molto danarosi. Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci come si pone nei confronti di questa pratica?

Questa è una domanda alla quale forse potrebbe rispondere meglio il direttore artistico. Comunque, anche qui, ci troviamo all’interno di contraddizione della quale già ampiamente ho accennato, nel senso: c’è un ideale a cui tendere - ovvero quello di poter svolgere in piena autonomia la funzione propria di un Centro per l’arte contemporanea - e c’è il fatto che non si è indipendenti economicamente al cento per cento. Se il Centro lo fosse, potrebbe fare tutte le scelte che vuole, anche se in queste sue scelte non potrebbe – di nuovo - ignorare quel che accade nel mondo dell’arte contemporanea: ciò che emerge, ciò che si evolve, fra gli artisti in carne ed ossa e che devono pur esser considerati se si vuol fotografare la situazione. Se poi vuole fare le sue scelte “a prescindere” può farlo ma in tal caso, forse, non svolgerebbe bene la sua funzione. Se tale funzione invece, vuole svolgerla al meglio deve impattare con tutte le realtà di cui si è detto e con le quali non può evitare di entrare in una contraddizione necessaria. Comunque, in linea generale, se la “borsa” del Centro che il direttore artistico può gestire autonomamente, è grande, maggiore è la sua libertà d’azione. Realisticamente, come si può affrontare la situazione? Con le conoscenze, in senso buono del termine, intendiamo. E’ uno dei compiti del direttore artistico, quello di tenere contatti capillari con tutta una serie di persone che lo possano indurre a una selezione e avviare procedure che possano aiutarlo nel tipo di scelte che ha deciso autonomamente. Tenere una serie di contatti è fondamentale. Ma ecco che anche qui sorge un nuovo problema: può un direttore fare questo, ha il tempo di poterlo fare fino in fondo? Secondo me no! Almeno non qui al Centro Pecci, dove il direttore artistico è considerato il “mega manager “, il coordinatore magno di tutto l’assetto del Centro per l’arte contemporanea, cn tutti i suoi vari comparti di lavoro che non sono limitati alla sola organizzazione delle mostre. Si tratta di mettere insieme progetti, azioni, persone, preparare pubblicazioni determinate e in un certo modo, acquisire libri, eccetera. Tutte queste cose hanno nel direttore artistico la sintesi finale: è lui che decide tutto questo. Per poterlo fare in modo attivo e positivo, non può starsene a Parigi trecentosessantacinque giorni l’anno: se è qua non è là. Dovrà arrivare a una sorta di dosaggio delle sue attività: andare in giro a vedere, cercare, trovare, tenere i contatti; vedere cosa succede nel resto del mondo, infilarsi in altri centri come questo, nelle gallerie che tirano di più, vedere cosa si muove, e nello stesso tempo essere il dirigente più alto in grado all’interno di un assetto organizzativo che non decide quasi nulla se non ha il suo nullaosta. Su questa doppia faccia del lavoro di un direttore è importante rifletterci sopra. Ad esempio, i nostri primissimi direttori non amavano molto questo lavoro organizzativo interno e solo con gli ultimi direttori, pur nei limiti intuibili, la situazione è cambiata ed i rapporti sono diventati più frequenti.

C’è un rapporto con tutta l’organizzazione più diretto da parte dei direttori.

Si, anche questo è richiesto dal nostro Consiglio, cioè che il direttore sia presente all’interno della struttura.

Poi, magari dopo l’esperienza di Daniel Soutif è ancora più evidente.

Si, secondo me, nonostante non sia molto amato Soutif, per tante ragioni che adesso è lungo spiegare, almeno un merito gli va ricnosciuto, quello di focalizzare molto l’attenzione sull’organizzazione, in modo tipicamente francese

ordinateur…

Francamente una buona organizzazione significa risparmio di tempo, di energie, dopo tutto consente un’ottimizzazione.

Un ultima domanda sulla didattica: come si svolgerà nei mesi e negli anni prossimi la sezione che ti riguarda direttamente?

lo sviluppo è su due fronti, da una parte un’attenzione al pubblico nella sua accezione più larga con molta più attenzione ai target, con progetti sempre più mirati; dall’altro, le collaborazioni. Sono cose che abbiamo sempre fatto ma che stiamo affinando e potenziando. Ad esempio per quanto riguarda le collaborazioni, siamo da sempre alla ricerca di progetti da condividere con altre istituzioni(musei, associazioni…). Devo dire che noi ci siamo mossi, abbiamo fatto delle cose, dei progetti e francamente mi aspettavo nel tempo che un’idea, un progetto, una proposta venisse anche verso di noi. Ecco in vent’anni nn è mai successo. Né dai Musei Civici di Prato, né Musei Diocesani, né dalla Galleria Alberti. Da parte nostra svolgiamo, in collaborazione con la Regione, una serie di progetti sperimentali coinvolgendo strutture e musei dove il Centro Pecci non aspetta il pubblico ma va dal pubblico.

per chiudere, ci dai qualche informazione sulla nuova ristrutturazione, tempi, prospettive, speranze…

Farci degli auguri… da tempo ormai si annuncia questa operazione che adesso sta effettivamente partendo. Se si sta nei tempi previsti dovrebbe completarsi alla fine del 2011. Il Centro raddoppierà i propri spazi, sarà più accogliente ed alle mostre temporanee si affiancherà lo spazio per l’esposizione della collezione permanente per documentare i percorsi del Centro sin alla sua nascita.

ancora una domanda rapidissima, nel periodo dei lavori di ristrutturazione, il museo continuerà la sua attività?

Tutto quello che è possibile tenere in piedi lo terremo, anche le stesse sale saranno aperte finché sarà possibile. Nonostante il cantiere, manterremo attive le mostre e sicuramente una delle sezioni che sarà ultima a fermarsi e, auspicabilmente, a non fermarsi proprio, è la mia, perché lavorando più con il pubblico che con le mostre; non aspettando che il pubblico venga, ma essendo noi ad andare dal pubblico, nelle classi, raccogliendo anche le istanze delle scuole che hanno sempre meno soldi da spendere e sempre meno possibilità di movimento, possiamo fare tutta una serie di cose che riteniamo di far bene lo stesso fuori dal centro.

Ignazio Fresu

 
     
     
 
 
 
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