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ANGELI SENZA ALI Alfonso e
Nicola Vaccari
Jacopo Valenzia
è un pittore.
Un giovane pittore.
Angeli senza ali racconta il duro percorso che dovrà compiere verso l’’affermazione
professionale
ed il successo
Una mostra di pittura sul tema dell'Olocausto di Antonio Dal Muto artista di Cesena organizzata dall'Associazione Culturale "Menocchio" di Cervia, la mostra è stata aperta alle scuole con visite guidate.
Mattia Moreni
"il Percorso interrotto" Ultimo decennio
(1985-1998)
La mostra di Cervia nella location dei Magazzini del Sale, dedicata all'ultimo periodo artistico
di Mattia Moreni
 
ARTE E OMOSESSUALITA'
da von Gloeden
a Pierre et Gilles
 
 
 
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Ignazio Fresu intervista Carlo Palli
La passione del collezionismo

Siamo a casa di Carlo Palli, uno dei maggiori promotori dell’arte contemporanea a Prato, in una casa che è un museo di arte contemporanea, assolutamente raro nel panorama dell’arte.
Come è nata questa grande idea, come è stato questo percorso nel mondo dell’arte?

Ho cominciato come mercante “da marciapiede” nei primi anni sessanta e come spettatore delle aste di Farsetti. Questo periodo di tirocinio è servito per fare delle conoscenze, per entrare in questo mondo e fare delle esperienze. Dopo iniziai a lavorare seriamente aprendo due gallerie stagionali che facevano aste “da mare e da montagna”. Aprii una galleria a Lido degli Estensi in provincia di Ferrara e una a Roccaraso in Abruzzo per il breve periodo delle vacanze invernali.

A Prato come ci arrivi?
Dopo avere lavorato per sette otto anni con queste due gallerie, decisi di fare un piccolo salto di qualità. Nel 1978 rilevai la galleria Metastasio che era stata fondata e gestita da Otello Monzali. Con la galleria Metastasio ho fatto un grande lavoro sulle fiere internazionali tanto che divenni il gallerista italiano con più presenze in tutte le fiere del mondo.
Fino al 1988 quando, durante una mostra di Mirò, la galleria subì gravi danni a causa di una ristrutturazione dell’edificio e da allora non ho più riaperto.

Il 1988 è la data di nascita del museo Pecci
Quell'occasione fece nascere l’idea di raggruppare vicino al nascente museo e alla Farsetti Arte sei, sette galleristi tra i più importanti, qualcosa tipo il Centre Pompidou di Parigi dove intorno sono nate tante gallerie.

Perché il progetto non si è poi realizzato?
L'idea di aprire una galleria fu sostituita dall'offerta di entrare a far parte della Farsetti Arte dove ho lavorato per circa dieci anni come libero professionista per curare l’arte contemporanea. Lì è cominciato il cambiamento.
Già molto prima avevo cominciato a collezionare opere diverse dal lavoro di galleria, per cui vivevo un conflitto proponendo in galleria delle cose diverse da quelle che mi piacevano. Decisi quindi di chiudere definitivamente la galleria e affrontare la libera professione con Farsetti e aumentare il mio interesse verso la collezione.

La tua collezione consta si 2500 / 3000 “cose” - come ti piace definirle; in che modo sei riuscito a raccogliere una collezione di tale portata?
Negli anni, ma devo molto alle case d’asta con cui ho sempre collaborato, se sono riuscito a costituire un archivio e una collezione della quale vado orgoglioso.

Nel 2006 hai fatto un’importante donazione al museo Pecci ( 200 opere) che racconta parte della storia più recente: Poesia Visiva - Fluxux - Nouveau Realisme
Il museo Pecci mi ha gratificato con una bellissima mostra della durata di cinque mesi e un bel catalogo ad oggi tra i più richiesti e quasi esaurito. Da allora è nata una collaborazione con il museo.

Com’è oggi il rapporto col Pecci?
Mi occupo dell’assistenza e della promozione soci anche organizzando gite culturali per importanti manifestazioni.

Cosa ne pensi della gestione del museo Pecci?
Inizialmente la nuova gestione aveva preso un corso molto vicino ai miei interessi con Spoerri, Isgrò, il progetto Hermann Nitsch (che però non fu possibile realizzare e che ci avrebbe proiettato in orbita). Le mostre che vengono fatte ora mi lasciano invece piuttosto distante. Ci siamo allontanati dai livelli internazionali che quelle prime mostre avevano raggiunto.

La rivista Scheda è sviluppata a tema e quello di questo numero è il Coraggio. Abbiamo scelto te perché rappresenti il coraggio di muoversi in maniera disinvolta nei confronti dell’arte contemporanea, in un campo come quello della Poesia Visiva, considerata a livello commerciale quasi arte di serie B, oltre che essere stimata meno nello stesso paese dove questa viene prodotta
Riguardo il coraggio non mi sento coraggioso perché ho fatto esattamente quello che volevo fare, vale a dire io mi sono divertito. Ho conosciuto artisti straordinari, fuori da tutti i canoni, veri artisti! Ho conosciuto questa gente che contesta i luoghi comuni e le vanità – cose con le quali concordo perfettamente. Inoltre sono tutti personaggi divertenti e coltissimi. Da questi possiamo farci prendere per mano e imparare a camminare. Loro, sono personaggi coraggiosi !
Come è nata questa scelta?
All'inizio ho preso un binario facile, con artisti che andavano per la maggiore, i grandi artisti italiani contemporanei viventi: Music, Gentilini, Vangi, era molto più facile, la grande fetta del collezionismo italiano si concentrava su quegli artisti per un buon 80%. Alle avanguardie e agli altri grandi maestri restava il 20%. È in quest'ultimo settore che ho finito per fare la mia scelta, mi ci sono immerso e sono stato gratificato: ho avuto la fortuna di fare le cose che mi piacevano.

All’epoca la Poesia Visiva era l’avanguardia più estrema e viveva nell’ambiguità tra poesia e arte visiva
Questa ambiguità è stato il peccato originale del mercato che li poneva in una sorta di serie B, questi artisti pagavano l’originalità della loro espressione artistica: i critici letterari li consideravano artisti, la critica artistica li considerava dei letterati. Per i critici non sono mai stati né carne né pesce.

Ciò mostra come la nostra critica sia a volte incapace di cogliere in maniera ampia e completa ciò che si muove nel mondo dell'arte
Personalmente posso dire una cosa che mi hanno riconosciuto: io sono stato colui che ha imposto, quando le grandi mostre hanno richiesto opere di poeti visivi (come per esempio nel 2000 con la mostra “Continuità” nei quattro musei più importanti della Toscana - palazzo Strozzi, museo Pecci, palazzo Fabroni, Fattoria di Celle - che le opere di poesia visiva fossero attaccate al muro e non nelle bacheche come fossero dei documenti. Ho preteso pari dignità con tutto il resto.

Il contesto è fondamentale, come ci insegna Marcel Duchamp, portare un oggetto dentro al museo ha un significato che non è lo stesso fuori da questo, quindi, anche il posizionarlo in maniera diversa significa dargli un valore differente. Ma come è oggi il mondo dell’arte contemporanea?
Com’è oggi? E’ sotto gli occhi di tutti. Acquistando un’opera tutti vogliono fare l’affare per forza. Invece per fare il collezionista è obbligatoria la passione e se uno non ce l’ha non può pensare di fare il collezionista. Può essere uno che compra quadri, ma i grandi collezionisti, sono sempre stati coloro che hanno avuto la passione per l’arte, una cosa che ti dà la carica e ti spinge a cose sempre nuove, a ricercare senza badare se una cosa costerà o non costerà. Io non mi sono mai posto il lato commerciale, tanto meno con la poesia visiva.

Hai fatto anche un’opera di diffusione?
Certo, ho cercato di farli entrare nel sistema, sul mercato, attraverso le aste, le grandi mostre. Per esempio, io non presto quadri alle gallerie private, presto le opere solo ai musei, alle istituzioni che me le chiedono. Ho altri due comodati oltre a quello con il museo Pecci, con il MART di Rovereto e con il Museo dell’Assurdo di Castelvetro di Modena, che è un piccolo museo che fa cose bellissime.

Cosa c’è di tuo nel Museo dell’Assurdo?
Attualmente c’è una mostra di poesia-oggetto che fa parte della mia collezione. Ce l’hanno ormai da diverso tempo, tant’è vero che mi chiedono sempre la proroga perché questa mostra è visitatissima. Ora dovrò proporre di fare un’altra cosa. Mi piace collaborare con loro perché sono appassionati, un po’ come me.

Sei stato tra quelli che hanno contribuito maggiormente affinché Prato avesse una sua valenza particolare nei confronti dell’arte moderna e contemporanea. Ora come vedi il futuro di Prato rispetto all’arte e alla cultura in genere?
Prato ha un museo d’arte contemporanea che con le sue potenzialità potrebbe diventare una guida, realizzando delle mostre invece che prenderle già preconfezionate. Grande successo ha avuto, per esempio, quella di Isgrò che è già stata esportata in tre musei in Italia, ad Istambul capitale europea della cultura e richiesta per l’anno prossimo a Valparaiso in Cile, che sarà la capitale mondiale della cultura!

E l’attenzione al territorio? Non dimentichiamo che gli artisti della poesia visiva appartenevano per la maggior parte alla cerchia toscana
Infatti le sole opere che vengono continuamente richieste in prestito al museo Pecci sono proprio di questi artisti. A mio parere, il museo che meglio riuscirà ad integrarsi col territorio, sarà indubbiamente il più produttivo. L’unico direttore del museo Pecci che aveva un progetto vero e che dimostrava di avere attenzione anche al nostro territorio, è stato Daniel Soutif, il quale proveniva dal Centre Pompidou. A mio parere è arrivato troppo presto e si è scontrato con una popolazione che non ha mai dimostrato di apprezzare il Centro di Arte Contemporanea: tanti pratesi non vi hanno mai messo piede. Feci una ricerca tempo fa e scoprii che tanti personaggi che girano il mondo e si vantano di aver visto tutti i grandi musei - il Louvre, il Prado, l’Ermitage, il museo d’Arte Moderna di New York - non sono mai entrati al Pecci. Emergeva questo dalla ricerca che facemmo. Ci saranno anche delle ragioni, non lo so. Io ho voluto dimostrare a me stesso quando ho accettato di collaborare con il Pecci, che la gente verrebbe, basta chiamarla, basta invitarla e fare cose interessanti! In effetti in un anno ci sono stati novecento nuovi soci, questo vuol dire che l’ attenzione c’è!

Il mondo dell’arte a Prato
Un paio di gallerie sono andate via, di nuove non ce ne sono. Non so perché. Certo, sono momenti molto difficili perché ormai il mondo dell’arte a livello mondiale è influenzato da grandi collezionisti, da definire piuttosto operatori commerciali. Con la moda, il brand, è cambiato tutto. È mutato il modo di visitare le mostre d’arte, siamo nella società di internet, della comunicazione rapidissima. Oggi si riesce a sapere tutto ancora prima che avvenga. Si seguono strategie per fare di una mostra di successo. Mi è rimasta impressa la mostra fatta a palazzo Grassi qualche anno fa: “Italics”, curata da Bonami. Di cosa si è parlato? Del quadro che non c’era! Perché Kounellis dopo aver visto il taglio della mostra, ha improvvisamente ritirato la sua opera e per tutta la durata della manifestazione si è parlato solamente di questo quadro che non c’era, mentre nessuna attenzione è stata data ad altre opere interessanti. Questo è molto significativo di quella che si chiama comunicazione e di come il mercato si muove.


Ignazio Fresu

 
     
     
 
 
 
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