di Ignazio Fresu
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>Ignazio
Fresu intervista Carlo Palli
La
passione del collezionismo
Siamo
a casa di Carlo Palli, uno dei maggiori
promotori dell’arte contemporanea
a Prato, in una casa che è un
museo di arte contemporanea, assolutamente
raro nel panorama dell’arte.
Come è nata questa grande idea,
come è stato questo percorso
nel mondo dell’arte?
Ho cominciato come mercante “da
marciapiede” nei primi anni sessanta
e come spettatore delle aste di Farsetti.
Questo periodo di tirocinio è
servito per fare delle conoscenze, per
entrare in questo mondo e fare delle
esperienze. Dopo iniziai a lavorare
seriamente aprendo due gallerie stagionali
che facevano aste “da mare e da
montagna”. Aprii una galleria
a Lido degli Estensi in provincia di
Ferrara e una a Roccaraso in Abruzzo
per il breve periodo delle vacanze invernali.
A
Prato come ci arrivi?
Dopo avere lavorato per sette otto anni
con queste due gallerie, decisi di fare
un piccolo salto di qualità.
Nel 1978 rilevai la galleria Metastasio
che era stata fondata e gestita da Otello
Monzali. Con la galleria Metastasio
ho fatto un grande lavoro sulle fiere
internazionali tanto che divenni il
gallerista italiano con più presenze
in tutte le fiere del mondo.
Fino al 1988 quando, durante una mostra
di Mirò, la galleria subì
gravi danni a causa di una ristrutturazione
dell’edificio e da allora non
ho più riaperto.
Il
1988 è la data di nascita del
museo Pecci
Quell'occasione fece nascere l’idea
di raggruppare vicino al nascente museo
e alla Farsetti Arte sei, sette galleristi
tra i più importanti, qualcosa
tipo il Centre Pompidou di Parigi dove
intorno sono nate tante gallerie.
Perché
il progetto non si è poi realizzato?
L'idea di aprire una galleria fu sostituita
dall'offerta di entrare a far parte
della Farsetti Arte dove ho lavorato
per circa dieci anni come libero professionista
per curare l’arte contemporanea.
Lì è cominciato il cambiamento.
Già molto prima avevo cominciato
a collezionare opere diverse dal lavoro
di galleria, per cui vivevo un conflitto
proponendo in galleria delle cose diverse
da quelle che mi piacevano. Decisi quindi
di chiudere definitivamente la galleria
e affrontare la libera professione con
Farsetti e aumentare il mio interesse
verso la collezione.
La
tua collezione consta si 2500 / 3000
“cose” - come ti piace definirle;
in che modo sei riuscito a raccogliere
una collezione di tale portata?
Negli anni, ma devo molto alle case
d’asta con cui ho sempre collaborato,
se sono riuscito a costituire un archivio
e una collezione della quale vado orgoglioso.
Nel
2006 hai fatto un’importante donazione
al museo Pecci ( 200 opere) che racconta
parte della storia più recente:
Poesia Visiva - Fluxux - Nouveau Realisme
Il museo Pecci mi ha gratificato con
una bellissima mostra della durata di
cinque mesi e un bel catalogo ad oggi
tra i più richiesti e quasi esaurito.
Da allora è nata una collaborazione
con il museo.
Com’è
oggi il rapporto col Pecci?
Mi occupo dell’assistenza e della
promozione soci anche organizzando gite
culturali per importanti manifestazioni.
Cosa
ne pensi della gestione del museo Pecci?
Inizialmente la nuova gestione aveva
preso un corso molto vicino ai miei
interessi con Spoerri, Isgrò,
il progetto Hermann Nitsch (che però
non fu possibile realizzare e che ci
avrebbe proiettato in orbita). Le mostre
che vengono fatte ora mi lasciano invece
piuttosto distante. Ci siamo allontanati
dai livelli internazionali che quelle
prime mostre avevano raggiunto.
La
rivista Scheda è sviluppata a
tema e quello di questo numero è
il Coraggio. Abbiamo scelto te perché
rappresenti il coraggio di muoversi
in maniera disinvolta nei confronti
dell’arte contemporanea, in un
campo come quello della Poesia Visiva,
considerata a livello commerciale quasi
arte di serie B, oltre che essere stimata
meno nello stesso paese dove questa
viene prodotta
Riguardo il coraggio non mi sento coraggioso
perché ho fatto esattamente quello
che volevo fare, vale a dire io mi sono
divertito. Ho conosciuto artisti straordinari,
fuori da tutti i canoni, veri artisti!
Ho conosciuto questa gente che contesta
i luoghi comuni e le vanità –
cose con le quali concordo perfettamente.
Inoltre sono tutti personaggi divertenti
e coltissimi. Da questi possiamo farci
prendere per mano e imparare a camminare.
Loro, sono personaggi coraggiosi !
Come
è nata questa scelta?
All'inizio ho preso un binario facile,
con artisti che andavano per la maggiore,
i grandi artisti italiani contemporanei
viventi: Music, Gentilini, Vangi, era
molto più facile, la grande fetta
del collezionismo italiano si concentrava
su quegli artisti per un buon 80%. Alle
avanguardie e agli altri grandi maestri
restava il 20%. È in quest'ultimo
settore che ho finito per fare la mia
scelta, mi ci sono immerso e sono stato
gratificato: ho avuto la fortuna di
fare le cose che mi piacevano.
All’epoca
la Poesia Visiva era l’avanguardia
più estrema e viveva nell’ambiguità
tra poesia e arte visiva
Questa ambiguità è stato
il peccato originale del mercato che
li poneva in una sorta di serie B, questi
artisti pagavano l’originalità
della loro espressione artistica: i
critici letterari li consideravano artisti,
la critica artistica li considerava
dei letterati. Per i critici non sono
mai stati né carne né
pesce.
Ciò
mostra come la nostra critica sia a
volte incapace di cogliere in maniera
ampia e completa ciò che si muove
nel mondo dell'arte
Personalmente posso dire una cosa che
mi hanno riconosciuto: io sono stato
colui che ha imposto, quando le grandi
mostre hanno richiesto opere di poeti
visivi (come per esempio nel 2000 con
la mostra “Continuità”
nei quattro musei più importanti
della Toscana - palazzo Strozzi, museo
Pecci, palazzo Fabroni, Fattoria di
Celle - che le opere di poesia visiva
fossero attaccate al muro e non nelle
bacheche come fossero dei documenti.
Ho preteso pari dignità con tutto
il resto.
Il
contesto è fondamentale, come
ci insegna Marcel Duchamp, portare un
oggetto dentro al museo ha un significato
che non è lo stesso fuori da
questo, quindi, anche il posizionarlo
in maniera diversa significa dargli
un valore differente. Ma come è
oggi il mondo dell’arte contemporanea?
Com’è oggi? E’ sotto
gli occhi di tutti. Acquistando un’opera
tutti vogliono fare l’affare per
forza. Invece per fare il collezionista
è obbligatoria la passione e
se uno non ce l’ha non può
pensare di fare il collezionista. Può
essere uno che compra quadri, ma i grandi
collezionisti, sono sempre stati coloro
che hanno avuto la passione per l’arte,
una cosa che ti dà la carica
e ti spinge a cose sempre nuove, a ricercare
senza badare se una cosa costerà
o non costerà. Io non mi sono
mai posto il lato commerciale, tanto
meno con la poesia visiva.
Hai
fatto anche un’opera di diffusione?
Certo, ho cercato di farli entrare nel
sistema, sul mercato, attraverso le
aste, le grandi mostre. Per esempio,
io non presto quadri alle gallerie private,
presto le opere solo ai musei, alle
istituzioni che me le chiedono. Ho altri
due comodati oltre a quello con il museo
Pecci, con il MART di Rovereto e con
il Museo dell’Assurdo di Castelvetro
di Modena, che è un piccolo museo
che fa cose bellissime.
Cosa
c’è di tuo nel Museo dell’Assurdo?
Attualmente c’è una mostra
di poesia-oggetto che fa parte della
mia collezione. Ce l’hanno ormai
da diverso tempo, tant’è
vero che mi chiedono sempre la proroga
perché questa mostra è
visitatissima. Ora dovrò proporre
di fare un’altra cosa. Mi piace
collaborare con loro perché sono
appassionati, un po’ come me.
Sei
stato tra quelli che hanno contribuito
maggiormente affinché Prato avesse
una sua valenza particolare nei confronti
dell’arte moderna e contemporanea.
Ora come vedi il futuro di Prato rispetto
all’arte e alla cultura in genere?
Prato ha un museo d’arte contemporanea
che con le sue potenzialità potrebbe
diventare una guida, realizzando delle
mostre invece che prenderle già
preconfezionate. Grande successo ha
avuto, per esempio, quella di Isgrò
che è già stata esportata
in tre musei in Italia, ad Istambul
capitale europea della cultura e richiesta
per l’anno prossimo a Valparaiso
in Cile, che sarà la capitale
mondiale della cultura!
E
l’attenzione al territorio?
Non dimentichiamo che gli artisti
della poesia visiva appartenevano per
la maggior parte alla cerchia toscana
Infatti le sole opere che vengono continuamente
richieste in prestito al museo Pecci
sono proprio di questi artisti. A mio
parere, il museo che meglio riuscirà
ad integrarsi col territorio, sarà
indubbiamente il più produttivo.
L’unico direttore del museo Pecci
che aveva un progetto vero e che dimostrava
di avere attenzione anche al nostro
territorio, è stato Daniel Soutif,
il quale proveniva dal Centre Pompidou.
A mio parere è arrivato troppo
presto e si è scontrato con una
popolazione che non ha mai dimostrato
di apprezzare il Centro di Arte Contemporanea:
tanti pratesi non vi hanno mai messo
piede. Feci una ricerca tempo fa e scoprii
che tanti personaggi che girano il mondo
e si vantano di aver visto tutti i grandi
musei - il Louvre, il Prado, l’Ermitage,
il museo d’Arte Moderna di New
York - non sono mai entrati al Pecci.
Emergeva questo dalla ricerca che facemmo.
Ci saranno anche delle ragioni, non
lo so. Io ho voluto dimostrare a me
stesso quando ho accettato di collaborare
con il Pecci, che la gente verrebbe,
basta chiamarla, basta invitarla e fare
cose interessanti! In effetti in un
anno ci sono stati novecento nuovi soci,
questo vuol dire che l’ attenzione
c’è!
Il
mondo dell’arte a Prato
Un paio di gallerie sono andate via,
di nuove non ce ne sono. Non so perché.
Certo, sono momenti molto difficili
perché ormai il mondo dell’arte
a livello mondiale è influenzato
da grandi collezionisti, da definire
piuttosto operatori commerciali. Con
la moda, il brand, è cambiato
tutto. È mutato il modo di visitare
le mostre d’arte, siamo nella
società di internet, della comunicazione
rapidissima. Oggi si riesce a sapere
tutto ancora prima che avvenga. Si seguono
strategie per fare di una mostra di
successo. Mi è rimasta impressa
la mostra fatta a palazzo Grassi qualche
anno fa: “Italics”, curata
da Bonami. Di cosa si è parlato?
Del quadro che non c’era! Perché
Kounellis dopo aver visto il taglio
della mostra, ha improvvisamente ritirato
la sua opera e per tutta la durata della
manifestazione si è parlato solamente
di questo quadro che non c’era,
mentre nessuna attenzione è stata
data ad altre opere interessanti. Questo
è molto significativo di quella
che si chiama comunicazione e di come
il mercato si muove.
Ignazio Fresu
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