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Intervista al
pittore Franco Piva
di Alessandro Carnier
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Franco Piva
Franco Piva nasce a
Porcia il 23.05.1953, dopo essersi diplomato
all'Istituto Tecnico Commerciale nel
1973, opera con funzioni amministrative
per conto di importanti gruppi aziendali
in Nord Africa (Libia) ed in medio Oriente,
Arabia Saudita è (Iraq) dal 1980
al 1986. Finita questa esperienza lavorativa
si trasferisce per un anno a Londra,
dove arricchisce le sue esperienze umane
e culturali frequentando i musei ed
i luoghi di incontro degli intellettuali,
artisti e letterati. Conosce Mary Quant,
inventrice della minigonna. In seguito
a causa della morte dell'amato padre,
rientra in Italia per accudire la Madre
rimasta vedova. Intraprende così
l'attività di pittore, producendo
centinaia di opere pittoriche e altrettante
opere poetiche.
Alessandro:
“Per iniziare, quanti anni hai?”
Franco:
“Tu lo sai Alessandro, ci conosciamo
da un bel po’ di tempo. Io sono
del 1953. Figlio del «bum economico».
Alessandro:
“Quando hai avvertito la necessità
di iniziare a dipingere?”
Franco:
“Fin da ragazzo. Poi il mio percorso
è stato un po’ diverso.
Ho frequentato l’istituto commerciale.
Sono diventato un piccolo/grande ragioniere,
e poi nel corso della vita ho scelto
a 35 anni, un po’ tardivamente,
il mestiere del pittore. Dopo aver vissuto
a Londra e visitato i musei più
grandi del mondo, ho scoperto me stesso
e l’Io fanciullesco.”
Alessandro:
“Non hai avuto una formazione
scolastica artistica, frequentando il
liceo artistico e l’Accademia
di belle Arti?”
Franco:
“No. Io ho frequentato dei corsi
a pagamento, presso la «Casa dello
Studente» a Pordenone, poi dei
corsi serali per decoratori. Ho imparato
la prospettiva dei grandi del Rinascimento.
Sono un autodidatta, e me né
vanto, tutto sommato. In quanto, se
avessi frequentato le scuole artistiche
mi sarei trovato con una «milionata»
di nozioni, e forse mi sarei ritrovato
ingabbiato… e di conseguenza non
sarei fino in fondo me stesso. Probabilmente
questo avrebbe limitato le mie potenzialità
creative.”
Alessandro:
“Però hai viaggiato, lavorato
all’estero. Hai conosciuto paesi
e culture diverse che ti hanno arricchito
culturalmente?”
Franco:
“Complimenti Alessandro! Mi è
stata utilissima quest’esperienza
all’estero. Ritrovandomi nei deserti
arabici, in mezzo alle difficoltà
del cantiere. Li, in quei luoghi, ho
scoperto la mia solidarietà nei
confronti degli altri… e quindi
me stesso. Ho rafforzato il carattere,
e rinvigorito la mia esistenza in questo
mondo.”
Alessandro:
“In quali paesi hai esercitato
la tua professione?”
Franco:
“Io ho lavorato in Arabia Saudita,
in Iraq durante la guerra Iran-Iraq,
combattuta dal 1980 al 1988. Ed anche
nella Libia di Gheddafi. Ho trascorso
sei anni della mia vita in quei luoghi.”
Alessandro:
“Hai lavorato in Iraq durante
il conflitto?”
Franco:
“Non ricordo bene… tra il
1982 e il 1983. Comunque sono piccoli
dettagli, Alessandro.”
Alessandro:
“Che ricordi hai di quest’esperienza,
che è stata senz’altro
significativa.”
Franco:
“Io ricordo le retate che facevano
le milizie di Saddam Hussein ai danni
della brava gente. Poi ricordo questi
grandi campi petroliferi accesi, che
però secondo me avvantaggiavano
solo il regime, per finanziare l’armamento.
Non avevano nessuna ricaduta positiva
sulla massa della popolazione, che rimaneva
povera. Ricordo la classe dei ricchi
commercianti che s’infiltrava
nei nuovi commerci offerti dalle opportunità
della guerra, a discapito della povera
gente, che chiedeva la democrazia, e
aiuto. Poi degli amici irakeni, molto
in «gamba»… il loro
ricordo mi fa commuovere. Erano alle
dipendenze della nostra ditta, in qualità
d’impiegati nell’ufficio
passaporti, addetti alle pubbliche relazioni.
Li ricordo tutti con pàthos.
Questi luoghi sono affascinanti: il
deserto, i sobborghi, i poveri, i ricchi…
queste affollate notti di Bagdad, questa
civiltà antica ti affascina,
ma al tempo stesso è difficile.
Il deserto è inospitale. L’unione
tra occidente e oriente é difficile.
L’impatto tra le due civiltà
risulta fuori dal normale.
Alessandro:
“ È difficile che queste
due culture si amalgamino?”
Franco:
“Ci sono stati dei miei amici
che lavoravano presso queste compagnie,
che hanno sposato delle donne irakene,
ma credo che queste unioni non siano
durate.”
Alessandro:
“Hai visto la
guerra.”
Franco:
“La guerra io l’ho vista.
Ho visto le colonne di carri armati
che si spostavano nel deserto per ore,
e andavano a finire nelle linee di combattimento.
Ho visto i feriti negli ospedali. La
guerra per persone come noi, che sono
nate dopo la seconda guerra mondiale,
vissute nella pace, traccia la memoria.
Io l’ho potuto constatare con
mio nonno, che ha combattuto durante
la guerra 15-18, quanto in negativo
vuol dire vivere una guerra. Rappresenta
un’inferno, non ci sono parole
per descriverla. Ti abbatte dal punto
di vista psichico. Ti rende immoto.”
Alessandro:
“L’hai mai elaborata dal
punto di vista creativo?”
Franco:
“Ho degli scritti. Però
a livello ironico, tipo racconti…
“Amici miei” (film famoso
di Mario Monicelli. Interpretato da:
Philippe Noiret, Gastone Moschin, Ugo
Tognazzi e Adolfo Celi), a livello post-felliniano.
Ho ricreato in questi brevi racconti,
il ritratto del piccolo italiano che
durante la guerra si reca al night per
sdrammatizzare il tutto. Per evadere.
Alessandro:
“Tu frequentavi i night, perché
probabilmente in quei posti, in quella
situazione, era l’unico modo per
evadere, per svagarsi un po’,
quando si usciva dal cantiere?”
Franco:
“Esatto. Quando si usciva dal
cantiere, si andava nei night, a bere.”
Alessandro:
“I night-club erano gli unici
posti dove si poteva bere alcolici?”
Franco:
“Si. Ma al di la di quest’avventura,
di un uomo che lavora duramente. Io
attraverso la mia memoria, ho buttato
giù delle righe, e ho descritto
questi posti in una forma che sminuisca
il dramma, il dolore della gente. Ho
scritto delle storielle che mi sono
capitate, con dei miei amici.”
Alessandro:
“Quest’esperienza della
guerra l’hai quindi rielaborata
nella forma scritta?”
Franco:
“Si. Ho scritto degli aneddoti
capitati a miei amici, che accompagnavo
nei night. Ad esempio, in una di queste
occasioni, ci siamo persi nei campi
minati. Io le ho descritte, per poi
farmi delle risate… Fermo restando
che conservo dentro di me, l’amarezza
di quell’esperienza. Però
l’ho abbattuta ed esorcizzata
con questi racconti.”
Alessandro:
“Non l’hai mai tradotta
in pittura?”
Franco:
“No, dal punto di vista descrittivo
non sono un figurativo. L’ho tradotta
con dei «segnacci» che possono
evocare la lingua e la scrittura araba,
della quale, avendola ascoltata, ho
imparato qualche parola. Qualche frase
posso ancora pronunciarla.
Tutto questo mondo, che è totalmente
diverso dal nostro, ti fa soffrire,
ma anche ti matura. Ti rafforza lo spirito,
attraverso una storia diversa, che si
può annusare. Che ti fa anche
pensare, quanto sia decaduta questa
terra rispetto alle sue antiche origini.
Quanto sia diversa dalla nostra civiltà.
Però e bella, essendo una terra
difficile, e al tempo stesso affascinate.
Ti forgia il carattere. Quindi, ben
vengano queste esperienze, per chi vuole
conoscere se stesso e migliorare. Esplorare
la propria indole primordiale”
Alessandro:
“Lavoravi nei cantieri, cosa facevate?”
Franco:
“Si nei cantieri edili. In mezzo
al deserto costruivamo manti d’asfalto,
e cantieristica in genere. E quindi
opere edili, a Riyad, ed in altre città
della penisola arabica. A questo proposito
mi viene in mente la città di
Hail, che dista circa 800 km da Riyad,
la capitale dell’Arabia Saudita,
e poi in Iraq. Ho conosciuto la grande
Bagdad… sai, di notte, Basrah.
E poi Tripoli in Libya, purtroppo svantaggiata
da questo suo dittatore militare, che
si chiama Gheddafi.
In quei luoghi ho scoperto le cose buone
e meno buone, e ho decifrato il mio
carattere, e l’ho rafforzato.
Ho capito che nella vita le esperienze,
sicuramente anche amare, ti aiutano
a scoprire dov’è la verità…
e di conseguenza a comprendere i valori
dell’arte.”
Alessandro:
“Allora ancora non dipingevi?”
Franco:
“No, amavo l’arte,
frequentavo i musei.”
Alessandro:
“È in quei paesi lontani,
che ti sei formato una cultura artistica?”
Franco:
“Si in Arabia Saudita ho avuto
la possibilità di vedere anche
delle mostre. Però li la pittura
è aggregata al potere, non è
libera. È un mondo diverso dal
nostro.”
Alessandro:
“Poi dopo quell’esperienza
ti sei trasferito in Inghilterra?”
Franco:
“Si, a Londra ho vissuto un anno.
Per migliorare la lingua inglese. Ho
scoperto il mondo anglosassone, dove
la legge funziona meglio rispetto al
nostro paese latino. Li ho visitato
i grandi musei: la National Gallery,
la Tate Gallery, il British Museum…
e ho capito tante cose… Mi sono
lentamente lasciato affascinare dal
mondo dell’arte.”
Alessandro:
“Poi dopo sei rientrato in Italia?”
Franco:
“Nell’ottantanove. Per stare
vicino ai miei genitori, che erano divenuti
anziani. Qui mi sono rilassato, con
la ricomposizione famigliare, e tutto
ciò che avevo visto di bello
e di brutto è fuoriuscito da
me attraverso il desiderio di mettere
in risalto tutto ciò che mi apparteneva,
con l’utilizzo dei colori.”
Alessandro:
“All’inizio di questa nuova
esperienza pittorica cosa dipingevi?”
Franco:
“Ma cosa vuoi… all’inizio
esci dalla tua abitazione e ti metti
in contatto con il giardino di casa,
e descrivi ciò che vedi attraverso
i colori a olio, e poi in seguito sono
passato al paesaggio.”
Alessandro:
“Il tuo soggetto iniziale è
stato il paesaggio. Avevi dei riferimenti
artistici: particolari artisti o movimenti?”
Franco:
“Gli impressionisti: Van Gogh,
Cézanne. Tutti i dipinti che
ho visto alla National gallery.”
Alessandro:
“Guardando i tuoi lavori pensavo
che tu avessi avuto come riferimento
gli espressionisti?”
Franco:
“Si, poi successivamente
li ho scoperti, allora rimasi prima
colpito dalla corrente impressionista.
Con l’andar del tempo, dopo qualche
anno, attraverso le letture specialistiche,
ho scoperto il movimento espressionista
tedesco. Io effettivamente non sono
un’impressionista di natura. Sono
un’espressionista. Di conseguenza
sono stato travolto da questa nuova
realtà. Ed effettivamente l’espressionismo
mi appartiene.”
Alessandro:
“Infatti, è
una forma di espressione artistica (l’espressionismo),
che tu hai elaborato, fatto tua, trovando
poi la tua formula espressiva.”
Franco:
“Complimenti. Noi friulani essendo
confinanti con l’Austria, la Mitteleuropa.
Siamo influenzati da questa cultura.
Alessandro:
“Abbiamo parlato fino adesso della
tua formazione artistica, cosa puoi
dirmi della tua tecnica pittorica?”
Franco:
“Fin dagli inizi ero molto indeciso,
immaturo, «bambino». Ho
iniziato ad adoperare i colori ad olio.
Poi con la pratica, e con lo studio
del disegno, dei pastelli, sono nel
tempo migliorato. Adesso uso i pennelli,
ma anche le spatole e le dita, indossando
i guanti. Quindi una tecnica che potrei
definire «primitiva».
Alessandro:
“Utilizzi le tecniche
tradizionali, ma anche le dita?”
Franco:
“Si, le dita con o senza guanti.
Guanti da cucina, quelli con cui si
lavano i piatti, per intenderci.”
Alessandro:
“Le dita con le quali stendi direttamente
il colore sulla tela e lo lavori?”
Franco:
“Si. Io sono un’autodidatta,
e ho adottato certi miei schemi primitivi.
Io adesso ho 56 anni, e per me non esiste
più la scuola. Se uno mi dicesse,
devi usare il pennellino, ti do un miliardo.
Io gli risponderei, no grazie!”
Alessandro:
“Un modo di dipingere
molto fisico?”
Franco:
“Si, esatto. Molto passionale,
lavoro di getto, da ricercatore. Dopo
vent’anni di lavoro in pittura,
io continuo sempre a ricercare ”
Alessandro:
“Ho visto che utilizzi svariati
materiali?”
Franco:
“Gli smalti, gli acrilici da muro,
pitture edili. Che poi si coagulano
con colle e acrilici industriali. Adesso
evito di adoperare l’olio.”
Alessandro:
“Oltre ai colori, utilizzi anche
altri materiali?”
Franco:
“Uso di tutto: gesso, coccio pesto,
colle, oggettì che riciclo aggregandoli
sulla tela o su altri supporti. Devi
provare di tutto…”
(Con Franco finiamo di bere il caffè
che gentilmente ci ha preparato la signora
Blandina, sua madre. Poi scendiamo le
scale che ci portano allo studio, dove
lui dipinge. Su un tavolo sono sistemati
una miriade di barattoli di colore,
mentre in una stanza attigua sono ordinate
e catalogate tutte le suo opere su degli
scaffali predisposti. Franco sistema
un’opera sul piano di lavoro.
(leggo il titolo nell’etichetta
sul retro dell’opera: Cartone
colorato n. 2)
Foto 1*
Didascalia
Autore: Franco Piva
Data: giugno 2005.
Titolo: “Cartone colorato
n. 2.”
Tecnica mista: smalti e acrilici.
Formato: cm 50x70.
N. 115/2005
N. 20 archivio notarile.
Franco:
“Questo è
un cartone… guarda stella…
non avevo soldi. Te lo dico: io sono
molto spontaneo. Ho avuto l’idea
di lavorare sul cartone, perché
è molto più economico
della tela tradizionale. Andavo a Roveredo
in Piano, (località posta nelle
vicinanze di Pordenone) dove c’è
un noto grossista del legno, e portavo
a casa 10-20 cartoni, li tagliavo in
formato di 50x70 cm.
Alessandro:
“Questo è un quadro che
potrei definirlo astratto?”
Franco:
“Questo è un quadro che
rappresenta un mondo impetuoso, con
delle macchie nere. È un quadro
giovanile, ed anche felice, che ben
rappresenta la mia personalità
d’uomo vigoroso. Espressione alla
mia sensibilità, che si auto
definisce in quest’opera. Poi,
sai che noi non siamo l’assoluto,
é tutto un po’ relativo,
discutibile, e non perentorio. Ma ha
volte periodico… Perché
magari fra 10 anni siamo meno felici.
Ho io non ci sarò più…
Alessandro:
“Quest’altra opera è
del 2005?”
Foto 2*
Didascalia
Autore: Franco Piva
Data: ottobre 2005.
Titolo: “Scrittura 22.”
Tecnica mista: smalti e acrilici,
incollaggi di testi.
Formato: cm 50x70.
N. 395/2005
N. 21 archivio notarile.
Franco:
“Si, è un 2005.”
Alessandro:
“In quest’opera
io vedo che incolli dei testi di libri
sul cartone?”
Franco:
“Bravo. Incollo libri o riviste
sul cartone. Dove metto in risalto la
scrittura, le parole.”
Alessandro:
“hanno un senso logico queste
frasi, queste parole?”
Franco:
“Evocano le parole, i messaggi
pubblicitari che confondono l’uomo.
Scritture che derivano da messaggi pubblicitari,
di cui noi siamo attorniati, assillati,
nella nostra quotidianità. Nelle
mie opere, io condenso la mia pubblicità,
che diventa una non pubblicità.
Quindi sono scritture personalizzate,
parole che diventano spazzatura e perdono
ogni potere persuasorio e coercitivo.
Sono mie scritture personalizzate che
evocano la pubblicità spazzatura
che invade il nostro quotidiano.
Alessandro:
“Qui abbiamo un’altra opera.
Dal titolo: stracci e cordami. Me la
puoi descrivere?” Foto
3*
Didascalia
Autore: Franco Piva
Data: settembre 2009.
Titolo: “Stracci e cordami”
Tecnica mista: smalti e acrilici edili,
incollaggi
di cordame e vecchi pantaloni di tutta
da ginnastica.
Formato: cm 50x70.
N. 215/2009
N. 1567 archivio notarile.
Franco:
“Lo straccio da tutti é
genericamente definito una cosa inutile.
Io inserendolo nell’opera lo metto
in risalto. È un modo per dare
dignità alle cose più
insignificanti. Il cordame richiama
alla memoria il lavoro del vecchio artigiano:
la fatica, il sudore della fronte. I
nostri vecchi emigranti…
Il cordame e gli stracci incollati su
questo fondo bianco, che per me, è
il miglior colore. Sinonimo d’ascendenza,
resurrezione dello spirito umano.
Un’opera, che attraverso l’utilizzo
delle cose più insignificanti,
possa piacere ad un pubblico più
variegato possibile. Più umile
e semplice. Il significato di quest’opera
è tutto li…
Alessandro:
“Volevo ancora parlare della tua
tecnica pittorica. Mi sono ricordato,
che tu spesso ridipingi i tuoi quadri.
A distanza di tempo prendi in mano un
tuo quadro e lo rifai completamente,
cambiandolo totalmente. In molti tuoi
lavori, c’è una certa sedimentazione
di pitture. Un’opera può
contenere sovrapposti più dipinti,
che si sono stratificati nel corso del
tempo.”
Franco:
“Tu hai visto che nei miei scaffali
ci sono circa 1.500 dipinti, 800 dei
quali, sono stati rivisti, almeno quattro
o cinque volte.”
Alessandro:
“Rivisti, o rifatti. Il soggetto
rimane lo stesso, o cambia completamente?”
Franco:
“Rivisto, in base, a una mia rivoluzione
spirituale. Guardo il dipinto, e siccome
io nel tempo mi sento migliorato, sento
l’esigenza di migliorare il dipinto.”
Alessandro:
“Prendi in mano un quadro, fatto
cinque o sei anni prima, e senti l’esigenza
di rifarlo, perché non ti soddisfa
più?”
Franco:
“Si!”
Alessandro:
“Non ti spiace
che vada persa un’opera che in
fondo anche se non ti soddisfa più,
rappresenta un certo tuo periodo storico?”
Franco:
“No! Perché la vedevo inferiore.
Un’opera non competitiva. Probabilmente
questo accade perché io ho un
carattere caparbio, voglioso di superare
la mia attualità. Stesure e ristesure
su quadri già dipinti. Non è
comunque detto che continui in questo
modo…Naturalmente vengono poi
aggiornati i dati relativi all’etichetta
del quadro rivisto.”
Alessandro:
“Con questo modo
di operare alcune opere di un dato periodo
potrebbero quindi andare perdute?”
Franco:
“Non tutte! Praticamente dal 2005/2006,
ho rivisto composizioni del 2003/2004.
Questo fa riferimento ad un dato periodo
di lavoro. Io poi vendevo, ed anche
regalavo circa una sessantina di opere
all’anno, anche perché
io non sono un commerciante. Dipingo,
e lo faccio con piacere, per cui non
mi faccio condizionare dal mercato,
dal momento che non vivo di sola pittura,
fortunatamente. Io mi sento fuori dal
mercato, e a me sta bene così.
Sono dell’idea che uno o fa il
pittore, o fa il commerciante. Un mio
amico, grande collezionista d’arte
mi ha detto: “Piva o fai il pittore
o fai il commerciante.” Queste
parole me le ricorderò per sempre,
sono depositate nel mio cuore.
Poi naturalmente, se c’è
la necessità di sopravvivere,
e chiaro che devi adattarti alla vendita.
Sai, non è detto che le cose
non debbano cambiare… Oggi penso
alla possibilità di aprire una
piccola galleria, in una grande città.
In una via di grande transito, per poter
essere indipendente e vendere le mie
cose. “
(Assieme a Franco saliamo le scale che
dallo studio conducono al piano abitato.
Saluto la gentile signora Blandina.
Franco, usciti dal portone di casa,
mi accompagna percorrendo assieme il
camminamento di pietre che attraversa
il giardino di casa, che lui cura personalmente.
Una volta salito nella mia auto, mentre
faccio manovra, Franco si accomiata
da me inchinandosi leggermente più
volte con le mani giunte in segno di
preghiera, pronunciando la sua tipica
frase: “Pace e bene… pace
e bene…”)
Alessandro
Carnier
15.12.2009 Porcia di
Pordenone
Intervista al pittore Franco Piva
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